domenica 30 maggio 2010
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Fin dal I secolo d.C. sembra si fossero già affermate le tradizioni del pellegrinaggio cristiano sia a Gerusalemme dove (riprendendo e modificando il pellegrinaggio ebraico, la aliyah) si ricercavano le tracce della vita di Gesù, sia a Roma, ai sepolcri degli apostoli Pietro e Paolo. A queste due fondamentali mete, che subirono nel tempo vari momenti di eclisse in rapporto con le vicende politiche e socioeconomiche degli insicuri secoli V-VIII ma che non vennero mai abbandonate del tutto, le culture romano-barbariche aggiunsero nuovi santuari e nuovi culti. Cominciarono i franchi, con il loro centro sacrale di Tours dedicato a san Martino; seguì un proliferare, dalla fine dell’VIII secolo in poi – e con maggior forza nello scorcio compreso fra i secoli X e XI – di nuovi santuari, di nuovi culti, di nuovi miracoli. Già dai primi dell’VIII secolo abbiamo notizia del culto michelita di Mont-Saint-Michel, in un’isola presso la costa tra Normandia e Bretagna; in seguito a varie "translationes" o a diversi episodi miracolosi si radicarono più tardi quelli della Vergine a Le Puy e a Chartres, del Santo Sangue a Mantova e a Fécamp, di san Michele in Piemonte e sul Gargano in Puglia (in verità forse più antico di Mont-Saint-Michel e modello per esso), di san Marco a Venezia, di santa Maria Maddalena nei centri francesi della Sainte-Baume e di Vézelay, dei santi Pietro e Marcellino a Seligensadt, di san Nicola a Bari, di santa Fede a Conques, della Santa Tunica del Cristo ad Argenteuil, del Santo Sudario a Oviedo nella Spagna settentrionale, mentre si affermava anche il pellegrinaggio alla tomba di Carlomagno in Aquisgrana, che lo stesso imperatore Ottone III avrebbe compiuto nel fatidico Anno Mille.Ma intanto, nel lontano nord-ovest della penisola iberica – presso la punta di Finisterre, considerata il punto più occidentale in cui il continente europeo si spingeva nelle acque dell’Atlantico oggetto di paurose leggende – un altro misterioso culto era sorto. La penisola iberica era ormai dall’VIII secolo in gran parte soggetta all’invasione arabo-berbera e a una larga islamizzazione. Sopravvivevano tuttavia non solo comunità cristiane locali che avevano adottato l’idioma arabo (i celebri "mozarabi"), ma anche, nella fascia settentrionale (la Navarra, le Asturie, il "paese cantabrico") alcuni piccoli regni cristiani indipendenti d’origine visigota, che resistevano all’invasione e all’egemonia dei "mori". Il testo che ci tramanda i fondamenti storico-leggendari del pellegrinaggio a Santiago è uno scritto latino redatto all’incirca tra il quarto e l’ottavo decennio del XII secolo e attribuito, senza prove certe, a un "chierico vagante" chiamato Aimery Picaud. Si tratta del "Liber sancti Iacobi", o "Liber Compostellanus": imponente e complessa testimonianza dello sforzo compiuto dal clero del santuario di san Giacomo Compostella per sostenere e promuovere il culto dell’apostolo ormai da un paio di secoli considerato il patrono della Spagna cristiana e al quale accorrevano – attraverso il Camino de Santiago, la cosiddetta Via Lattea – pellegrini da tutta la Cristianità. Ispiratore di quella raccolta di scritti fu il vescovo di Santiago, Diego Gelmirez, attorno alla metà del secolo XII. Di essa ci restano numerosi manoscritti, fra cui il più antico e noto è senza dubbio il "Codex calixtinus", conservato nella cattedrale compostelana. Il suo nome deriva da papa Callisto II, al quale il vero autore-compilatore del manoscritto ne attribuì la redazione, con l’evidente intento di accrescerne il credito. In realtà, il codice – impreziosito da numerose miniature di scuola anglonormanna – è il risultato di un lungo lavoro di ricerca e di raccolta e sembra essere il risultato della collaborazione tra vari autori-compilatori.Il "Codex calistinus" è distinto in cinque libri di argomento e di estensione differente: il primo presenta la complessa e speciale liturgia seguita in Santiago in onore di san Giacomo; il secondo narra una raccolta di 22 episodi miracolosi, verificatosi con la mediazione dell’apostolo; il terzo propone varie versioni della narrazione della "translatio" delle reliquie iacopee dalla Terrasanta alla costa galiziana e alcune devozioni religiose popolari in suo onore; il quarto è in realtà una cronaca epica, il cosiddetto "Pseudo-Turpino", vale a dire l’Historia Turpini attribuita a quello che, secondo le leggende epiche, era il celebre vescovo-guerriero "cappellano" della spedizione di Carlomagno in Spagna nel 778, durante la quale appunto il bellicoso prelato sarebbe caduto martire insieme con i paladini Rolando ed Oliviero combattendo i mori (in realtà erano baschi cristiani) al passo pirenaico di Roncisvalle; il quinto è infine la famosa «guida del pellegrino di san Giacomo», autentico testo "classico" della letteratura odoeporica medievale.Il "Codex calixtinus" è celebre, molto studiato e citato. Ne esiste anche una versione integrale in lingua italiana, che con il titolo di "Codice callistino" è uscita a cura del Centro Italiano di Studi Compostellani diretto dal professor Paolo Caucci von Saucken.Stando al racconto che il "Codex" ha reso canonico, l’apostolo Giacomo "il Maggiore" avrebbe seguito il comandamento di Gesù di predicare il Vangelo su tutta la terra, scegliendo per sé il più remoto angolo di nord-ovest, la Galizia allora insediata da popolazioni celtiche di questo nome (i "galiziani", affini ai galati dell’Anatolia). Tornato in Palestina, sarebbe stato fatto decapitare – primo tra gli apostoli – dal re di Giudea Erode V Agrippa tra il 42 e il 44 d.C.: ma i discepoli Teodoro e Anastasio, decapitatone il corpo, lo posero in una barca che, arcanamente pilotata da un angelo, giunse fino al porto galiziano di Iria Flavia, estrema propaggine europea sull’Atlantico ("Finis Terrae").Sepolto in un vicino bosco, dopo secoli di silenzio o addirittura di proibizione di venerarlo, il sepolcro dell’apostolo fu dimenticato fin a quando nell’813 un pastore di nome Pelayo lo scoprì seguendo la luce di una stella che splendeva su una plaga remota, appunto il "Campus Stellae", "Compostella". Teodomiro vescovo di Iria Flavia assisté all’"inventio", la scoperta della reliquia.Restituito al culto cristiano in un periodo nel quale i regni iberici del nord, restati cristiani, cominciarono a coordinarsi per rispondere all’invasione dei musulmani arabo-berberi che avevano conquistato la penisola iberica un secolo prima, il corpo dell’apostolo venne legittimato come reliquia da papa Leone III su preghiera di Alfonso II "il Casto" re delle Asturie: la vittoria di Clavijo, una località della Rioja (centro-nord della Spagna) dov’ebbe luogo una battaglia durante la quale, il 23 maggio dell’844, san Giacomo apparve a cavallo biancovestito e adorno d’una rossa croce a forma di spada per sgominare i "mori", fu l’inizio del culto di colui che fu appunto chiamato "Santiago Matamoros".Nel capoluogo di Santiago de Compostela, più volte attaccato e saccheggiato dai "mori", a partire dal 1075 si cominciò a costruire la splendida, immensa cattedrale romanica che, più volte ampliata e rinnovata, ancor oggi si ammira. Da Santiago prese il suo nome anche un celebre Ordine religioso-militare iberico. Il culto di Santiago si diffuse dopo la scoperta del nuovo continente in tutta l’America latina, dove rimane ancor oggi profondamente radicato nelle popolazioni nonostante l’offensiva anticlericale sette novecentesca e, negli ultimi anni, un’impressionante campagna di evangelizzazione protestante che, appoggiata da potenti mezzi economici statunitensi, nel solo Guatemala ha purtroppo sottratto alla Chiesa cattolica circa la metà dei fedeli.
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