L’occasione è talmente ghiotta che a Milano stanno iniziando a scervellarsi su come non lasciarsela scappare. E a Torino approntano le barricate, caso mai ve ne fosse bisogno. L’idea che frulla nell’aria è quella di sfruttare la ribalta mondiale dell’Expo 2015 per portare a Milano quella fiera libraria che alla città, capitale italiana dell’editoria, manca; il problema, è come coordinare un simile progetto con il solido Salone del Libro di Torino. La Milano dell’Expo potrebbe puntare a ottenere, almeno per un anno, il trasloco della manifestazione dalla Mole al Duomo; oppure potrebbe cercare d’inventarsi qualcosa di proprio, più o meno integrato con il Salone piemontese. Per Giuliano Vigini, attento analista dell’editoria italiana, «l’Expo sarebbe una buona occasione per rispolverare il progetto di un Salone milanese, 'bruciato' nel 1988 da quello torinese a causa dell’incapacità, da parte delle istituzioni lombarde, di mettersi d’accordo – conservo ancora le planimetrie del progetto... A Torino erano stati più bravi, eppure Milano sarebbe stata una sede adatta. Adesso si potrebbe fare, per esempio, una grande mostra sulla Milano dei libri, e non solo, da proporre ai visitatori dell’Expo; l’ultima risale al 1980. Sarebbe un modo per far conoscere la città, accostando libri antichi, fotografie, quadri. Oppure, per non sovrapporsi a Torino, Milano potrebbe realizzare iniziative specifiche dedicate alle professioni, o all’editoria religiosa: qui ci sono più di mille editori, che in occasione dell’Expo potrebbero intercettare un pubblico diverso. Un avvenimento dedicato al libro ci vorrebbe proprio; bello sarebbe portare qui, per un anno, il Salone, o almeno qualche sua porzione, ideare iniziative in collaborazione». Il pallino è in mano a Milano, che dovrebbe pur essere capace di fare da sé: «Sta a noi – chiude Vigini – riflettere, proporre, inventare».Magari con l’immancabile, italico comitato ad hoc, come esplicitamente invocato dallo scrittore Ferruccio Parazzoli: «Milano con l’Expo dovrebbe aprire al mondo, legarsi a un grande tema comune da affidare a una commissione. Se si decidesse di fare un salone del libro per l’Expo, sarebbe l’occasione buona per portare finalmente in Italia una fiera del libro internazionale. Se a Torino vogliono fare il loro Salone anche nel 2015, che se lo facciano: ma non vedo perché noi dobbiamo correre tutti gli anni a Francoforte e a Londra, quando l’anno dell’Expo potrebbe essere quello giusto per dare il via a qualcosa qui. Poi, se va bene si può andare avanti. Sarebbe una cosa diversa da Torino, quel Salone va bene per incontrarsi tra autori e critici, va bene per le scuole, ma è l’immagine dell’editoria e della cultura italiana. Per Milano ci vuole una grande idea dello spirito – la libertà, la speranza, la giustizia...». Torino potrebbe non gradire, ma per Parazzoli non sarebbe un problema: «Vedo le due cose come assolutamente diverse. Il Salone di Torino è diventato una cosa molto casalinga; tutti gli anni vado lì e vedo le stesse facce e le stesse scolaresche: ottima cosa, ma Milano dovrebbe guardare piuttosto a Francoforte, a una partecipazione davvero internazionale, aperta a tutti i Paesi del mondo».Proposte e prospettive che al Lingotto non piacciono, e infatti il direttore del Salone, lo scrittore Ernesto Ferrero, alza subito i suoi paletti: «Per carità, tutto quello che si fa per il libro è ben fatto. Ma quelli di Milano mi sembra siano ancora pii desideri, mentre ciò che conta davvero sono gli editori, che a Torino mi pare facciano discreti profitti. Anche puntare agli operatori, come a Francoforte, non ha senso se fatto un anno solo; ci vogliono preparazione, pazienza per entrare nelle consuetudini, investimenti a lungo termine». Ferrero precisa che del 2015 al Lingotto non si è ancora parlato, anche perché il direttivo non è ancora stato rinnovato, ma davanti all’ipotesi di uno 'scippo' non esita: «Se ci togliessero il Salone scoppierebbero le Cinque giornate di Torino, ci sarebbe un’insurrezione popolare; sarebbe un atto sconsigliabile, se non altro per motivi di ordine pubblico. Al massimo si può pensare a qualcosa di congiunto, o sdoppiato, o bicefalo». Un buon modello cui guardare, allora, diverrebbe il MiTo, il festival musicale settembrino a cavallo delle due città. «Certo – concede Ferrero –, rispetto a ogni iniziativa nazionale, l’Expo avrebbe una vetrina planetaria. Ma non è che a Torino, nel suo piccolo, manchi l’internazionalità. Nei primi anni abbiamo fatto fatica, ma adesso finalmente abbiamo raggiunto la quota di crociera e agli editori va bene così. Noi non temiamo la concorrenza, non è che 'Più libri più liberi' di Roma o il Festivaletteratura di Mantova abbiano sottratto pubblico a Torino; è sbagliato vedere sempre le cose in un’ottica oppositiva – retaggio storico della tradizione municipale italiana –, o Torino o Milano. No, le cose si integrano, e/e; ragioniamo piuttosto sul modello MiTo. E poi, non è colpa nostra se a Milano è mancata l’iniziativa istituzionale che qui, grazie alla Fondazione per il libro che unisce Regione, Provincia e Comune, ha reso possibile il Salone. Non servono investimenti enormi, ma istituzioni all’altezza. Basti pensare che quest’anno tutte le Regioni italiane hanno avuto il loro stand al Lingotto; ne mancava solo una: la Lombardia».