Il Festival di Salisburgo (l’ultimo per il direttore artistico Alexander Pereira) ha commissionato due lavori che ricordano le guerre mondiali del Novecento da un punto di vista molto speciale: quello delle donne. Il primo è un’opera lirica andata in scena il 28 luglio (ed in programmazione sino al 14 agosto):
Charlotte Salomon di Marc-André Dalbavie, su libretto di Barbara Honigmann, con regia di Luc Bondy, scene di Johannes Schütz, costumi di Moidele Bickel. Il secondo -
The Forbidden Zone di Dancan McMillan - è un dramma che va in scena dal 30 luglio al 10 agosto ma di cui si prevede una versione cinematografica.Soffermiamoci su
Charlotte Salomon. Il lavoro ha queste caratteristiche: a) si basa su uno storia vera da cui alcuni anni fa è stato tratto un film di successo e un documentario per la televisione; b) è una vicenda di grande attualità in quanto il suo punto centrale è l’intolleranza; b) il libretto è in due lingue, - i personaggi francesi utilizzano il francese e i tedeschi il tedesco; d) Dalbavie, che concerta voci ed orchestra, viene dallo sperimentalismo ma si è gradualmente avvicinato a melodia, armonia e ritmo. Appartiene alla 'scuola spettrale' francese che fonde astutamente tonalità e quel-che-resta-della dodecafonia per entrare nell’intimo. È musica che fa presa sul pubblico. Charlotte Salomon è cresciuta nelle Berlino elegante di Charlottenburg (dove è nata nel 1917). Suo padre, un medico, era considerato un eroe della Prima Guerra Mondiale; sua madre Franziska era stata crocerossina. Nel 1926, Franziska si toglie la vita durante una depressione; l’evento viene nascosto a Charlotte, affermandole che era morta d’influenza. La seconda moglie del padre, Paulinka, è un’importante cantante lirica che si affeziona alla bambina. Con l’arrivo del nazismo, iniziano le discriminazioni (viene vietato a Charlotte di ritirare il premio di pittura pur vinto) e le persecuzioni. Si rifugia dai nonni in Francia, mentre padre e madrigna si nascondono in Olanda. Quando apprende che gli ebrei tedeschi stanno per essere consegnati dalla Francia di Vichy ai tedeschi, è la nonna a togliersi la vita. Allora, Charlotte apprende del suicidio e della madre e di altre donne della famiglia. Per sfuggire ad un destino analogo, si dedica, con l’aiuto di un medico francese, alla pittura e si sposa. Arrestata, con il marito, Charlotte muore a Auschwitz nel 1943, incinta di quattro mesi e sposata da otto; il marito un anno dopo ai lavori forzati. In breve, Franziska, Charlotte e la madre della prima e nonna della seconda vengono annientate dalle due Guerre Mondiali. Finita la guerra, padre e matrigna ebbero dal medico di Villefranche-sur-Mer il lavoro che Charlotte gli aveva lasciato in custodia: 1325 tavole dipinte di cui circa 900 organizzate sistematicamente come le immagini di un
Sinspiel (opera in parte parlata ed in parte cantata) intitolato
Vita? O Teatro? Il padre, morto nel 1976, e la matrigna , deceduta nel 2000 all’età di 102 anni, hanno dato il lavoro al museo ebraico di Amsterdam.L’opera, in due atti (due ore e mezza senza intervallo) si svolge tra Berlino e Villefranche Auschwitz è sempre nel fondale. La scena è costituita da proiezioni dei dipinti di Charlotte e da abili giochi di luce che danno il senso dei differenti ambienti (l’andamento della vicenda è cinematografico). Il vasto boccascena dell’antica cavallerizza è diviso in dieci pannelli che consentono azione scenica contemporanea in vari luoghi di Berlino e a Villefranche- un’idea suggestiva ma difficilmente replicabile altrove. La protagonista è interpretata da un’attrice (Johanna Wokalek) con funzione di narratrice e da un mezzo soprano (Marianne Crebassa) . Tra gli altri undici solisti (alcuni in più ruoli) spiccano Anaik Morel e Frédéric Antoun. Dalbavie utilizza un piccolo organico del Mozarteum con un numero limitato di archi, una forte presenza di ottoni e fiati, un’arpa, un organo ed un piano. Ne trae colori orchestrali molto intensi specialmente nella seconda parte. Nel complesso, un lavoro commovente e innovativo.