Per arrivare dal centro di Mosca al pianeta Marte bastano 5 fermate di metropolitana: ci vogliono pochi minuti per passare dal panorama offerto dalle cupole colorate di San Basilio, sulla Piazza Rossa, all’aspro paesaggio marziano fedelmente ricostruito presso l’Ibmp, l’Istitute for Biomedical Problem, il centro russo da cui il prossimo 3 giugno sei astronauti partiranno per il pianeta rosso. Un viaggio simulato, l’anteprima di una futuribile – e futuristica – missione spaziale: l’equipaggio sarà separato dal mondo per 520 giorni, vivendo e lavorando nello stesso ambiente e alle stesse condizioni in cui vivranno e lavoreranno i primi esploratori terrestri di Marte, il cui decollo è previsto per il 2020.Il progetto si chiama Mars 500 ed è frutto della collaborazione tra l’Ibmp, Roskosmos (l’ente spaziale russo) e l’Esa (l’agenzia spaziale europea); a studiare gli effetti psico-fisici di 520 giorni di isolamento saranno gli scienziati del Centro Extreme, un team composto da ricercatori della Scuola Superiore Sant’Anna, dell’Università di Pisa e dell’Istituto di Fisiologia Clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Pisa (Ifc-Cnr). Saranno messe in campo competenze tra le più varie, dalla biologia alla cardiologia, dall’immunologia alla psicologia, dall’endocrinologia alla meccanica, all’informatica, alla matematica. Una vocazione multidisciplinare e una fisionomia inter-istituzionale per il Centro Extreme che si occupa dello studio della fisiologia in ambienti estremi: «Da tre anni investighiamo sulle reazioni degli astronauti al lavoro nel simulatore moscovita. Quella che prende il via il 3 giugno – spiega Remo Bedini, ingegnere, ricercatore presso l’Istituto di Fisiologia Clinica del Cnr – è la seconda fase del progetto Mars 500, la più lunga e impegnativa». Nella prima fase, lo scorso anno, i giorni di segregazione inflitti agli astronauti – ben contenti di sopportare tanto disagio – sono stati 105. È cinque volte più lungo il periodo di isolamento che ha davanti l’equipaggio pronto a farsi chiudere negli spazi angusti della navicella spaziale Nek, che fisicamente è a pochi chilometri dal centro di Mosca ma psicologicamente è lontana milioni di chilometri: «Il viaggio di andata sarà concluso dopo 250 giorni – prosegue Bedini – poi, nei trenta giorni successivi i cosmonauti orbiteranno intorno al pianeta rosso e ne esploreranno la superficie. I restanti 240 giorni saranno impiegati per il ritorno sulla Terra». Il primo terrestre toccherà il suolo marziano – per finta, ma credendoci sul serio – nel 2011: l’arrivo su Marte è previsto per l’8 marzo, subito dopo cominceranno le operazioni sulla superficie. Nel grande hangar allestito dagli scienziati dell’Ibmp, una cupola ospita la ricostruzione del suolo marziano, ne riproduce pressione e atmosfera, la temperatura: «Tre astronauti resteranno sulla Nek, altri tre scenderanno sul pianeta. Se a uno di loro dovesse rompersi lo scafandro – spiega Angelo Gemignani, neurofisiologo dell’università di Pisa – si troverebbe a respirare un’aria mortifera, identica a quella marziana». Che lo stress degli astronauti chiusi in ambienti ristretti, con davanti sempre le stesse facce e le stesse cose, assordati da un rumore costante, esposti a mille rischi diventi oggetto di studio è comprensibile: «Si tratta di una missione unica per l’umanità e dal punto di vista emozionale non fa nessuna differenza che si tratti di una simulazione. Il nostro scopo è studiare gli effetti negativi dello stress sulla fisiologia umana – spiega Gemignani – e ci interessa capire come alterino il sonno, come incidano sul sistema cardiovascolare e respiratorio, sulla produzione di ormoni e sulle funzioni cognitive ed emotive». Non c’è nulla del nostro corpo che non reagisca allo stress: poche persone sono sottoposte alla stessa tensione nervosa di un astronauta, molte operano più modestamente ma quotidianamente in situazioni estreme e ambienti di lavoro logoranti: i vigili del fuoco, per esempio, o gli operatori delle piattaforme petrolifere, i soldati, gli uomini della protezione civile... Mars 500 e gli studi del Centro Extreme avranno ricadute positive – si spera – anche sulla qualità della loro vita: «Siamo alla ricerca – riprende Gemignani – degli indici di vulnerabilità. Ciascuno nasce con un pattern genetico, un profilo che ci predispone a certe patologie. In pratica ereditiamo la suscettibilità a una malattia».Il che non significa che senz’altro ce ne ammaleremo ma che l’incidenza di un fattore di stress – per esempio un lutto o la perdita dell’impiego –, rendendoci più vulnerabili, potrebbe scatenarla. «Si tratta di indici di vulnerabilità che oggi è possibile scoprire solo sottoponendosi alla mappatura del genoma, esame poco diffuso e molto costoso. Il nostro obiettivo – spiega il neurofisiologo – è verificare se la vulnerabilità genetica si possa esprimere in termini di parametri più facilmente studiabili. Per esempio nelle alterazioni delle onde del sonno o della complessità del linguaggio. Non siamo certi che sia davvero così, proprio per questo Mars 500 è un’occa-sione unica e imperdibile per confermare o smentire questa ipotesi». La ricerca italiana – «la buona ricerca italiana» ci tiene a specificare Gemignani – è ancora capace di operare ad altissimi livelli, seppur fortemente penalizzata economicamente: «La prima fase della ricerca è stata cofinanziata dall’Asi che però ha deciso di non sovvenzionare anche la seconda. Il nostro team si autofinanzia, per un costo complessivo che raggiungerà i 250 mila euro. Gli americani la considererebbero una cifra irrisoria, per noi è una spesa esorbitante».