Domenico Rosati, ex presidente delle Acli e del Cir / Siciliani
Sul traffico degli esseri umani e sul soccorso di chi è in pericolo: Mentre a Roma si discute, a Otranto si muore (dicembre 2000), ragionando con dolente chiarezza sul cinismo assassino che stava portando alla morte per annegamento dei profughi curdi in Adriatico e sulla debolezza dell’azione della cooperazione internazionale per scongiurare le migrazioni forzate. Sul diritto d’asilo: Il Governo non si nasconda (ancora dicembre 2000), incalzando la maggioranza di centrosinistra dell’epoca e denunciando la mancata riforma come «l’incompiuta più grave» (marzo 2001).
Sui meccanismi dell’immigrazione economica ben regolata: L’istituto dello 'sponsor' va rivisto, non abolito (settembre 2001), per spingere il Governo di centrodestra a legiferare allo scopo di tenere lontani dal «lavoro nero» uomini e donne venuti in Italia dall’estero; per incentivare la «resistenza civica» dei datori di lavoro alla «infame tentazione» di clandestinizzare la propria manodopera straniera (agosto 2002); e per mettere il dito nella piaga scandalosa della vita e morte dei «cinesi di Prato» immigrati «atipici», pratesi per residenza e arte, ma italiani senza volto né cittadinanza (settembre 2002). Sono tutti temi e ragionamenti tratti da interventi di Domenico Rosati sulle pagine di 'Avvenire', proprio al primo inizio del nostro XXI secolo.
E ho deciso di citarli nell’incipit di questa piccola testimonianza, - resa per stima e per amicizia, a titolo personale, ma anche da direttore di un giornale che Domenico Rosati legge da sempre e che ha frequentato spesso, in particolar modo tra il 1990 e il 2005, come libero collaboratore. L’ho fatto non perché dicano tutto di lui, della sua visione di cristiano e delle sue passioni di cittadino e di intellettuale, ma perché sottolineano lo sguardo lucido e buono - davvero lucido e autenticamente buono - che l’ex presidente delle Acli (Associazioni cristiane lavoratori italiani) e del Cir (Consiglio italiano per i rifugiati) ed ex senatore ha saputo e sa esercitare sulla realtà (non solo) italiana.
L’unione di lucidità e bontà è vigorosa ambizione del realismo cristiano, ed è bellissima (e profetica) virtù politica e civile, perché aiuta a vivere la contemporaneità senza essere schiavi delle contingenze e, proprio per questo, consente di vedere e interpretare le questioni sociali ed economiche, le sfide culturali e antropologiche, i nodi morali e le esigenze spirituali di una data comunità (come dell’umanità intera) in una prospettiva giustamente profonda, aiutando ad articolare le soluzioni possibili senza perdere la consapevolezza che gli uomini e le donne sono i protagonisti e rappresentano la risposta, e non possono essere mai ridotti al problema in cui sono immersi. Un lusso necessario, la lucidità e la bontà, che Domenico Rosati si è permesso per tutta la vita.
E una virtù che ha coltivato, sia con una pronunciata attitudine pubblica al dialogo nella chiarezza delle posizioni (senza timori di essere e apparire in minoranza), sia con una prosa giornalisti- ca semplicemente elegante. Un modo non solo suo, ma suo certamente sì, per tenere insieme sobrietà dei toni e forza delle idee- guida, libertà e fedeltà di cattolico e responsabilità di uomo del proprio tempo.
Uno stile e una sostanza che ieri e, viene da dire, soprattutto oggi rappresentano un esempio che rincuora quanti non si rassegnano, e non intendono arrendersi, al cattivismo ideologico, che in modo calcolato e calcolatore, sembra essere tornato a dilagare. E che, anche se sfrutta parole d’ordine e sfoggia slogan da 'pensiero forte', è esito prevedibile - e per certi versi inevitabile - dell’individualismo e del relativismo assoluto. Il cattivismo perde i contorni del bene e del male e mistifica, non riconoscendo e, dunque, confondendo vittime e carnefici, sfruttati e sfruttatori. E così arriva a segnare col marchio del sospetto, del disprezzo e dell’irrimediabile estraneità ogni alterità, ogni persona e cultura 'altra', e squalifica come buonismo, a sua volta ideologico, ogni gesto di umanità, ovvero la ripeto con orgoglio, e non importa che questa parola suoni a molti debole e inattuale - di bontà.
La bontà è la giustizia realizzata per amore, è la civiltà di chi riconosce, accoglie, protegge, forma, assiste, valorizza e pacifica la vita umana. La legge per i cattivisti è l’attrezzo per costruire barriere e l’arma per tutelare gli interessi di mondi separati. Per Domenico Rosati, che ha cercato di dimostrarlo nella sua intensa e lunga militanza associativa e politica e di argomentarlo su giornali e riviste, è invece lo strumento per rendere sempre più giusta la vita del mondo (e lavoro, intrapresa e movimento migratorio sono tutti insieme essenziali e preziosi sintomi di vita), per aprire e presidiare strade di vera comunicazione, cioè di solidarietà aperta e di fraterna inclusione. Torno, infine, al punto da cui sono partito. Tratta degli esseri umani, soccorso umanitario, cooperazione internazionale. Diritto di asilo. Buon governo delle migrazioni.
Colpisce e fa riflettere che i temi e i ragionamenti di diciotto anni fa, che ho richiamato nell’incipit (ma l’elenco potrebbe allungarsi e ampliarsi), siano ancora esemplarmente attualissimi. E risulta evidente che i problemi si sono aggravati anche se - assieme ad altri, tanti ma evidentemente non abbastanza - Domenico Rosati si è speso a fondo e ha appunto scritto e detto e fatto per cambiare l’amaro (dis)ordine delle cose. È altrettanto chiaro, però, almeno per chi non si accontenta delle propagande da comizio e non si consola con le maledizioni da talk show che a complicare tutto non è la lucidità e la bontà messe in campo da Domenico Rosati e da quelli e quelle come lui, ma il loro esatto contrario: l’inerzia, l’indifferenza, il calcolo, la miopia, l’ostilità… Insomma, abbiamo più che mai bisogno di generoso realismo cristiano. È ancora tempo di duro lavoro, caro Domenico, è ancora stagione di semina.