martedì 15 febbraio 2011
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Nell’articolo 1 del Concordato lateranense era contenuta una norma secondo cui il governo italiano, in considerazione del «carattere sacro della Città Eterna», sede vescovile del Pontefice, centro del mondo cattolico e meta di pellegrinaggi, era impegnato ad impedire tutto ciò che in Roma potesse essere in contrasto con detto carattere. Quella disposizione, rimasta pressoché inapplicata (nel corso di un cinquantennio a tale disposizione si era appellata la Santa Sede in due occasioni: nel 1930, per la visita a Roma di Hitler, allorché Pio XI aveva lamentato il fatto che nella "città sacra" era stata inalberata l’insegna di una croce che non era la croce di Cristo. Nel 1965, in occasione della rappresentazione in Roma della commedia scandalistica Il Vicario di Rolf Hochhuth, ritenuta gravemente lesiva della memoria di papa Pio XII), era interpretata dalla dottrina nel senso che essa conteneva un impegno non ben determinato dell’autorità governativa italiana, con riferimento alle potestà discrezionali del potere esecutivo. Proprio in ragione di questa sua indeterminatezza la norma era stata oggetto di critica, in quanto la genericità dell’impegno assunto dallo Stato italiano, consentendo di coprire un numero indeterminato di fattispecie concrete, rischiava di rendere arbitrario l’esercizio delle funzioni pubbliche, da parte dell’autorità governativa (soprattutto l’esercizio dei poteri di interdizione e di polizia), con conseguente possibile lesione delle libertà individuali e collettive. La disposizione, d’altra parte, era intesa ad accordare specifiche garanzie alla libertas Ecclesiae in rapporto alla peculiare situazione della città di Roma, di cui il Papa è vescovo, sul cui territorio si trovano gli organi di governo della Chiesa universale e le rappresentanze diplomatiche accreditate presso la Santa Sede, che è un punto di riferimento spirituale per i cattolici del mondo intero. Il quarto comma dell’articolo 2 del testo in vigore afferma invece che «la Repubblica italiana riconosce il particolare significato che Roma, sede vescovile del Sommo Pontefice, ha per la cattolicità». Si tratta di una formulazione ancor più generica della precedente, ma priva di specifici impegni da parte statale; peraltro, essendo prevista in un atto con valore e forza giuridica, qual è il Concordato, non può considerarsi del tutto priva di effetti sul piano di diritto. Certamente la disposizione in esame non ha forza di legittimare, come accadeva in passato, limitazioni più o meno ampie di diritti e di libertà giuridicamente garantite; tuttavia può legittimare interventi del legislatore e della pubblica amministrazione destinati specificamente a Roma in quanto sede vescovile del Papa e centro della cattolicità, e diretti a garantire una migliore esplicitazione delle funzioni e delle relazioni che a detto carattere sono connesse. Così potrebbero trovare fondamento nella norma in esame leggi e regolamenti speciali per la città di Roma attenenti a settori che hanno connessione con quelle funzioni, come l’urbanistica, i trasporti, le relazioni internazionali, l’accoglienza di pellegrini, i servizi sociali e sanitari anche a favore di non cittadini (immigrati extracomunitari, eccetera), il turismo di carattere religioso, la conservazione e la valorizzazione dei beni culturali ecclesiastici e religiosi. Due esempi recenti esplicitano tale visione. Il primo: il Grande Giubileo del 2000 che ha visto convergere a Roma milioni di pellegrini e ha richiesto un ripensamento di tanti luoghi della città da parte dell’autorità pubblica. Il secondo esempio: i funerali di Giovanni Paolo II con la grande affluenza di fedeli e autorità. Più in generale si potrebbe rilevare come la disposizione in esame si pone quale norma di un più ampio statuto speciale che potrebbe essere assicurato alla città di Roma, onde metterla in condizione di svolgere nel modo migliore le funzioni e i servizi di cui è gravata per i suoi ruoli di capitale, di città internazionale e di sede della cattolicità. Una prospettiva, quest’ultima, che ha acquistato concretezza per effetto della riforma del Titolo V della Costituzione, ove è stato consacrato formalmente il ruolo di Roma come «capitale della Repubblica», assegnando alla legge dello Stato il compito di disciplinarne l’ordinamento. Lo sviluppo della libertas Ecclesiae nella relazione fra Stato e Chiesa in Italia è stato incoraggiato dall’evoluzione ordinamentale italiana nel segno di una sempre più accentuata valorizzazione dell’autonomia ecclesiastica.Tuttavia occorre precisare come nell’esaminare tali dinamiche relazionali non si debba cadere nel facile equivoco di considerarle operative «a senso unico». Se è vero che lo sviluppo della libertas Ecclesiae negli accordi di attuazione del dettato concordatario appare indubbiamente condizionato dalle evoluzioni ordinamentali in atto, va però sottolineato come tale risultato sia stato notevolmente favorito proprio dal paradigma strutturale dell’Accordo 1984. Si è dunque di fronte ad una realtà in cui i fattori dominanti sono in costante evoluzione. Dinamiche, «inter» ed «infra» ordinamentali, che non possono venire trascurate se non si intenda affrontare il rischio di porre in ombra alcuni degli elementi più significativi per ricostruire l’avvenuto sviluppo degli accordi, ma anche e soprattutto per comprendere le future linee evolutive, tanto nel loro insieme quanto nei singoli settori.Vorrei al termine riproporre la visione dei rapporti tra Stato e Chiesa in Italia proposta da papa Benedetto XVI nella sua visita al Quirinale del 2005, in cui richiama tra l’altro a una sana laicità dello Stato: «Le relazioni tra la Chiesa e lo Stato italiano sono fondate sul principio enunciato dal Concilio Vaticano II, secondo cui "la comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l’una dall’altra nel proprio campo.Tutte e due, anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione personale e sociale delle stesse persone umane" (Gaudium et spes, 76). È principio, questo, già presente nei Patti Lateranensi e poi confermato negli Accordi di modifica del Concordato. Legittima è dunque una sana laicità dello Stato in virtù della quale le realtà temporali si reggono secondo le norme loro proprie, senza tuttavia escludere quei riferimenti etici che trovano il loro fondamento ultimo nella religione. L’autonomia della sfera temporale non esclude un’intima armonia con le esigenze superiori e complesse derivanti da una visione integrale dell’uomo e del suo eterno destino». Il Concordato del 1929 e gli Accordi del 1984 offrono un quadro giuridico per realizzare quelle sana laicità di cui parla il Santo Padre e che rafforza l’identità dell’Italia, un Paese a cui mi sento tanto legato e a cui faccio auguri di ogni bene, quando si compiono i 150 anni della sua Unità.
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