Nemici magari no, «ma neanche fondatori dell’Italia unita». Ernesto Galli della Loggia, con garbo piemontese, fa presente quel che la Storia ha scritto, e cioè che il processo unitario è figlio delle elites laiche. Al suo fianco, in un dibattito tutto tra storici che si è tenuto ieri a Torino sotto l’egida della fondazione Donat Cattin, Francesco Traniello annuisce: «I cattolici, compresi quelli intransigenti, non erano contro l’unità ma erano contro lo Stato liberale, non condividevano "quel" tipo di unificazione realizzata contro il Papa e il suo potere temporale». Insomma, giù le mani dal Risorgimento liberale, garibaldino e mazziniano. Al punto che tocca a un discendente della nobiltà sabauda come Roberto Morozzo della Rocca, vicino alla comunità di Sant’Egidio, puntualizzare che, se la connotazione laica del processo di unificazione rappresentava sicuramente una «difficoltà» per l’integrazione dei cattolici, se vi era una obiettiva «restrizione degli spazi della Chiesa operato dalle élites piemontesi», «tra i cattolici italiani non si diffuse la sensazione di essere alla fine del mondo, tant’è vero che, come la Storia avrebbe dimostrato, la fine del potere temporale per un verso sarebbe stato un bene per la Chiesa». Il titolo della conferenza è volutamente provocatorio: "Cattolici nemici dell’unità?". E Galli della Loggia coglie da par suo la provocazione. Ammette che i cattolici italiani non hanno contrastato l’unificazione ma rigetta l’ipotesi di un cattolicesimo che si sente protagonista dello Stato unitario. Concede solo che «i cattolici hanno contribuito all’unificazione del Paese, ma all’amalgama che avvenne dopo la breccia di porta Pia». Insomma, si consolino: non hanno fatto l’Italia ma hanno fatto gli italiani: «Ufficialmente la Chiesa era ostile, ma Pellico e Berchet, Manzoni e Rosmini aiutarono - aggiunge lo storico laico - a costruire l’identità civile e spirituale del Paese, erodendo le basi della stessa opposizione cattolica. Gioberti introdusse il concetto del rinnovamento: laddove i risorgimentali vedevano nel passato solo catastrofi e vergogne, lui legò il presente e il futuro alla tradizione». Traniello, dal canto suo, concorda sul fatto che «i cattolici incominciarono ad assumere rilievo storico solo quando gli Stati cessarono di essere Stati cattolici e interi strati sociali cessarono di riconoscere alla Chiesa il monopolio dei valori cristiani». Anche per lui, la nascita dello Stato unitario è accompagnato dalla «chiamata a raccolta dei cattolici intransigenti a difesa del Papa: si organizzano in alternativa allo Stato anche quando operano nel senso della unificazione». Per lo storico torinese i cattolici giocano il secondo tempo della partita: «L’identità nazionale era stata eretta in Stato ma non unificata. L’immagine di un’Italia unita era cerebrale. Solo il 2% della popolazione parlava la lingua italiana». I cattolici nei decenni successivi diventano secondo Traniello «canali di integrazione dentro lo Stato. Questi cattolici non erano contro l’unità ma contro lo Stato liberale». Morozzo della Rocca non ha nulla da eccepire: «Difficile per un cattolico - è stato ieri il suo intervento - essere nemico di un movimento, come il Risorgimento, che esprime l’idea di una resurrezione». Per lo storico cattolico, «se per la maggioranza dei cattolici si può parlare di "nemici", bisogna intendere che furono contrari al processo di unificazione come fu condotto dopo il 1848, in quanto conseguenza della rivoluzione francese e di una leadership laica; lo stesso Pio IX non era contro l’Italia ma contro il concetto di rivoluzione». Del resto, nella prima Italia sabauda, lo stesso «anticlericalismo era diverso da quello che sarebbe stato in età crispina, le masse restavano cattoliche e devote e l’unificazione non provocò alcuna crisi della pratica religiosa. I cattolici non pensavano affatto di essere alla fine del mondo e le stesse élites liberali non erano papaline ma credenti». Anche per Morozzo della Rocca, insomma, «la difficoltà non fu l’Italia ma come il processo di unificazione fu condotto». Anche lui guarda al «secondo tempo», che Galli della Loggia racconta così: «I cattolici integralisti tentarono una rivincita rivolgendosi a quegli strati popolari che erano rimasti esclusi dall’egemonia liberale». Solo con il 18 aprile, però, tornò di attualità il progetto di «realizzare una società cristiana». Il successo di De Gasperi ha fatto dei cattolici «i fondatori della Repubblica».