Suor Daniela durante un incontro al monastero Santa Chiara delle clarisse cappuccine di Lagrimone - -
La strada che conduce al monastero Santa Chiara delle clarisse cappuccine di Lagrimone a 720 metri s.l.m. sale e scende tortuosa in quella vasta area della Val Parma che si incontra venendo dal passo appenninico del Lagastrello. Qua e là si notano segni di una rinnovata ricchezza con piccole aziende e prosciuttifici a conduzione familiare. Quando a metà degli anni ’60 le clarisse di Ferrara , giunsero da queste parti, animate dal desiderio di riscoperta di una povertà e uno stile di vita più radicale, non c’erano grandi risorse. L’abbadessa madre Chiara Francesca Scalfi era sensibile ai richiami conciliari che nel documento Perfectae caritatis chiedevano ai religiosi una riscoperta delle loro fonti. Da qui l’idea di accettare l’offerta della famiglia Scaccaglia di Parma che aveva dei terreni a Lagrimone, sui quali desiderava nascesse un monastero. Per molti si trattava di un’impresa impossibile: come si poteva vivere di carità in un ambiente così povero ed estremo? La badessa, con antica saggezza monacale e abbandono alla Provvidenza, rispondeva che «dove arriva un monastero arrivano anche i servizi». «Il monastero venne costruito dal nulla e le suore si trasferirono nel 1969. Per decenni hanno vissuto senza denaro, senza corrente elettrica e senza riscaldamento, accettando solo donazioni in cibo e beni di consumo. Di lì a qualche tempo, iniziò un tale flusso di cibo e beni di prima necessità che questo luogo divenne un centro di raccolta e di smistamento della carità per tutti i bisognosi della zona». A parlare è suor Daniela, che nel monastero di Lagrimone è entrata nel 1984, irresistibilmente attratta da quella radicalità di vita, a conclusione di un complicato percorso vocazionale «in cui pezzo dopo pezzo si è ricomposto per me il puzzle del volto di Dio». Il puzzle del volto di Dio. Suor Daniela dice proprio così, al di là della grata del parlatorio del mona-stero, col quel sorriso accogliente che è tipica firma delle claustrali.
Ma cos’è il volto di Dio per una suora di clausura?
Un cammino che dura una vita. Una ricerca continua. Vultum Dei quaerere è il titolo della recente Costituzione apostolica sulla vita contemplativa. Ma non c’è differenza fra cercare da claustrali e da persone comuni. E man mano che si cammina il volto può assumere tratti diversi. A volte anche sfigurati.
Dalla sofferenza?
La mia maestra delle novizie diceva che il Signore va riconosciuto anche da sfigurato. Va riconosciuto comunque nell’altro. Anche nel peccato. Anche nel nostro dolore. Anche se è un volto che non ci piace.
Nell’altro e in noi...
Nella nostra spiritualità, ma vale per tutti, c’è anche la ricerca del volto specchiandosi in quello di Cristo. La croce fa da specchio. Nel suo volto c’è anche il nostro. E quando ci si specchia in Lui succede che si vede la propria miseria, ma anche la propria bellezza e ci si chiede: ma cosa faccio io, come amo io, cosa amo io? La perfezione dell’uomo della croce è la perfezione del suo amore, lo splendore del suo amore. La Croce e la Trasfigurazione sono inseparabili... nella vita di ognuno.
Qual è la strada che conduce al volto di Dio?
Il volto è per tutti e ognuno trova la sua, ma una via sicura è quella della Parola. Lì ci sono le chiavi. E la Scrittura va letta tenendo conto della tradizione e del magistero. La nostra giornata è tutta fondata sulla Parola. Ogni mattina una di noi commenta la parola del giorno dalla quale cogliamo una frase che diventa la “ ruminatio” di tutta la giornata, in ogni momento e nella preghiera fino a farne quasi un annuncio al mondo.
Un annuncio? E arriva davvero?
L’Internet spirituale esiste da sempre e raggiunge il mondo intero in tempo reale, anche il passato e il futuro. Molte sorelle pensavano inizialmente a una vocazione missionaria e poi si sono rese conto che nella clausura potevano fare molto di più e per tutti. Giovanni Crisostomo diceva: «Quando mi inginocchio tutto il mondo si inginocchia con me». Per Agostino l’uomo che prega raggiunge ogni angolo della Terra.
Lei quando ha cominciato a pregare?
Ho fatto la Comunione nel ’68 e a catechismo parlavano di un Dio giudice e si insegnava il “timor di Dio” inteso nella maniera sbagliata. Ho fatto le elementari e le medie dalle suore e la mentalità era la stessa. Così a 16 anni mi sono un po’ allontanata: dovevo passare da una tradizione ricevuta a una fede scelta. Poi un sacerdote mi ha invitato a degli incontri del Rinnovamento nello Spirito e lì ho scoperto che credere è gioia, che la preghiera è soprattutto lode e ringraziamento... una vera rivoluzione. Così da esattore delle tasse Dio è diventato un amico con cui parlare. E poi la preghiera spontanea, la lettura “a caso” della Bibbia, che mi ha fatto scoprire testi sempre nuovi. Ci sono dei passi dell’Antico Testamento in cui Dio si mostra di una tenerezza incredibile: «Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore; ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia» (Os 11,4). Un volto di Dio che tocca il cuore. Da malinconica che ero sono diventata più gioiosa. Ho cominciato a vedere gli altri con occhi diversi... Con occhi diversi? Mano a mano che Dio ti mostra il suo volto e tu ti lasci guardare, i tuoi occhi vedono un po’ come i suoi, imparano la misericordia, e lo fanno sempre meglio.
È lì che è nata la vocazione?
«Suora mai!», dicevo sempre. Volevo sposarmi e avere tanti figli. A 18 anni ho iniziato un cammino di fidanzamento con un ragazzo del Rinnovamento. Ero felice ma non pienamente. Intanto il Signore prendeva spazio. Andavo a Messa tutti i giorni attirata come da una calamita. Leggevo sempre la Bibbia. Ho lasciato quel ragazzo e ho provato con un altro, ma non ha funzionato. Avevo un padre spirituale e con lui ho cominciato a parlare di una forma semplice di consacrazione. Ho deciso di fare voto di castità, ma «suora mai!». Nell’81 una coppia di amici mi ha portato qui la prima volta. Ho parlato con la madre Chiara. In lei il volto di Dio si vedeva molto bene. Durante la preghiera cantata a un certo punto mi sono trovata a dire: «Signore se mi vuoi qui io vengo». Ma dopo un po’ ho cancellato. Quel “suora mai!” non voleva cedere.
E poi?
A un convegno del Rinnovamento a Rimini, ancora fra i canti, mi capita di sentirmi come in Paradiso. Vado a confessarmi. Dopo, una mia amica mi indica una stanza dove c’era la custodia dell’Eucarestia pronta nelle patene per le comunioni. Mi dice: «Vuoi fare un po’ di adorazione?». Davanti a Lui, in quella stanza, finalmente cade il paletto del “suora mai!”: «Sono pronta – dico – ma dimmelo chiaramente». A partire da lì si è ricomposto il mio puzzle del volto di Dio.
E le vocazioni oggi?
I giovani vivono una realtà che porta lontano da Dio. Non è facile credere e la Chiesa ha perso la capacità di parlare ai giovani. Spesso qui vengono dei gruppi giovanili e tante volte si parla di libertà. C’è un concetto deviato di libertà. La mia libertà non è un valore assoluto, ma è limitata dalle libertà degli altri. E al di sopra della libertà c’è la Verità. È nella Verità che sono davvero libero, nel bene, nella bellezza. Al di qua delle grate sentiamo di essere pienamente libere. Del resto la libertà ha delle regole: Dio libera il popolo ebraico dall’Egitto e poi gli dona la Legge. A noi dice di amare: è la libertà dei santi, nella comunione dei santi. La libertà è nella comunione con gli altri attraverso la tenerezza di Dio. Il volto di Dio è libertà. E il Salmo 144 ci dice che la sua tenerezza si spande su tutte le creature.