Il restauro della "Madonna del Parto" di Jacopo Sansovino - Ansa
La forza dei “batteri buoni” per portare a nuova vita un capolavoro oggetto di un’antica devozione popolare. In questo mese di maggio dedicato alla Vergine, acquista un rilievo speciale la presentazione a Roma del bio-restauro di una delle poche opere del Rinascimento italiano riuscita a conservare sino a oggi un così forte carattere popolare: stiamo parlando della Madonna con il Bambino, per tutti la “Madonna del parto”, custodita nella basilica di Sant'Agostino in Campo Marzio a Roma e celebre per la morbidezza dei tratti, emblema di una maternità antica.
Una statua il cui candore biancastro in marmo di Carrara torna ora a splendere, dopo decenni in cui non brillava così, al centro della sua nicchia, oscurata com’era da uno strato bruno dovuto ai troppi ceri (presenti accanto agli ex voto per una grazia ricevuta) e ai troppi contatti di mani supplichevoli. Imponente (dall’alto dei suoi 181 cm.) e dolcissima allo stesso tempo, con la veste che scende in morbidi drappeggi sino ai piedi e il bambino sorretto con i piedi su una gamba. Capolavoro del fiorentino Jacopo Sansovino, che la scolpì in un unico blocco marmoreo, commissionata nel 1516 dalla famiglia Martelli e terminata nel 1521, finalmente si mostra in tutta la sua bellezza dopo il restauro promosso dalla Soprintendenza Speciale di Roma, in collaborazione con la banca Intesa Sanpaolo nell'ambito del programma “Restituzioni Monumentali”, attivato per la prima volta nella capitale per un’opera monumentale.
La "Madonna del Parto" di Jacopo Sansovino - Soprintendenza Speciale
L'intervento, condotto dalla restauratrice Anna Borzomati, è durato sei mesi e ha visto «l'impiego di metodi tradizionali e anche l'ausilio di agenti pulenti di origine biologica», particolari batteri coltivati al laboratorio Oem dell'Enea, ghiotti proprio delle sostanze che ricoprivano l'opera, dagli olii alle resine sintetiche e alle proteine. Una volta resi "affamati", le hanno spazzate via dalla pelle del marmo senza danneggiare la scultura e nel pieno rispetto dell'ambiente e dei futuri fruitori. Una metodologia all'avanguardia, spiega Borzomati, «già praticata su alcuni monumenti con risultati importanti e che non intacca i materiali costituitivi dell'opera».
«E' una scultura bellissima, scolpita guardando alla statuaria antica – lo scultore si era ispirato a un Apollo citaredo – e sulla quale si sentono le influenze di Raffaello e Michelangelo, custodita in una chiesa che è essa stessa un libro d'arte, con opere che vanno dal Quattrocento all'Ottocento», racconta la soprintendente Daniela Porro, accanto a padre Domenico, Rettore della Basilica «dedicata alle donne», come dice lui.
Proprio quelle pratiche devozionali promosse nei secoli, soprattutto a partire dall'Ottocento, ne avevano oscurato lo splendore. Nel 1822, infatti, papa Pio VII Chiaramonti ne istituì il culto, con la concessione dell'indulgenza alle donne e agli uomini che avessero baciato il piede della Madonna recitando l'Ave Maria. Pratica che, però, portò alla necessaria sostituzione, nella prima metà del Novecento, dell'originario piede sinistro, ormai consumato, con un uno nuovo in lamina d'argento (ispirando anche un ben più laico sonetto del Belli). Ed è stato soprattutto l'uso di «porre decine di candele e lumini intorno alla statua - come racconta la storica dell'arte della Soprintendenza, Ilaria Sgarbozza -, di toccarla spalmando olii profumati, di vestire lei e il bambino di drappi, monili e corone sul capo, oltre al tempo e alle polveri», a creare i problemi di conservazione ora superati.