La regista Emma Dante, impegnata tra cinema, lirica e teatro
«Il teatro per l’infanzia non è di serie B o C. È teatro di Serie A, per questo fa parte integrante della produzione della mia compagnia». Del valore artistico del teatro ragazzi e di quello pedagogico delle favole classiche è fermamente convinta Emma Dante, l’acclamata regista palermitana capace di spaziare dalla lirica, al teatro, al cinema lasciando sempre il suo segno inconfondibile, provocatorio, mai banale. La sua lunga attività anche come regista di spettacoli per l’infanzia è meno sotto i riflettori, ed è per questo che è al centro di una personale che Ert/Teatro Nazionale presenta al Teatro Bonci di Cesena da febbraio ad aprile 2022, aprendo con la prima assoluta del nuovo spettacolo, prodotto da Ert con Trg Onlus in collaborazione con Sud Costa Occidentale, Scarpette rotte che ha debuttato ieri pomeriggio 19 febbraio, e sarà in replica sino al 22 febbraio. Il calendario prosegue con le due fiabe di repertorio Gli alti e bassi di Biancaneve (13 e 14 marzo) e Anastasia, Genoveffa e Cenerentola (28 e 29 aprile).
Emma Dante il teatro per i ragazzi cosa rappresenta all’interno del suo percorso artistico?
Io da un po’ ho affrontato un percorso di riscrittura delle fiabe per il teatro dell’infanzia. Non faccio tantissime produzioni, ma ci tengo molto. Per me il teatro per l’infanzia è una attività parallela alle produzioni per gli adulti, per questo uso gli attori che lavorano con me nella compagnia Sud Costa Occidentale. Perché è molto importante dare ai futuri cittadini del mondo del nostro paese le chiavi di lettura della vita.
Nelle favole ci sono le radici della nostra storia.
Vivo le favole un po’ come dei classici che continuano a interrogarci e un terreno di esplorazione. Cenerentola, Biancaneve, la Sirenetta, Cappuccetto rosso: mi sono divertita a pubblicarle con La nave di Teseo. Dopo questi due anni di pandemia, la rilettura di Scarpette rosse mi sembrava quella giusta.
Cosa racconta questo nuovo lavoro?
Scarpette rotte è la mia rilettura di Scarpette rosse, una fiaba di Andersen che non si trova in libreria. L’ho raccontata a mio figlio che ha 9 anni e gli è molto piaciuta, ha molte cose interessanti al suo interno. Si incentra sul tema dell’arroganza. La protagonista è una ragazzina che fa un percorso pericoloso. La favola inizia con lei povera orfanella, coperta di giornali in un cimitero, che piange sulla tomba della madre. Rompe un tabù, dice ai ragazzi che esistono la morte, la povertà, la discriminazione e l’abbandono. Le fiabe di Andersen sono così, i bambini fanno tutti una brutta fine, basti pensare alla Piccola fiammiferaia, una mezza pagina di ferocia assoluta. Qui la bambina viene adottata da una ricca signora, le vengono regalate le scarpette rosse da una principessa, viene invitata al ballo di corte, diventa ricca, ha bei vestiti e servitori. Questa bambina però inizia ad annoiarsi, perché la noia diventa egoismo, arroganza, egocentrismo, tutto deve essere mio. Alla fine viene punita. Le scarpette non la fanno più fermare ed è costretta a danzare tutta la vita fino alla morte.
Con quale atteggiamento approccia questi temi?
La fiaba parla a tutti, anche agli adulti. Ma nel teatro ragazzi devi fare i conti con una competenza diversa da quella dell’adulto. Il ragazzino è molto più libero, non ha pregiudizi, necessita di semplicità. Ma è tutto molto più delicato, c’è una responsabilità enorme per chi fa teatro ragazzi. È più difficile che mettere in scena un’opera lirica.
Le favole sono la trasposizione fantastica, a volte molto dura, della realtà.
Parto dall’idea che i ragazzi devono imparare a conoscere il mondo, il teatro deve servire alla loro crescita umana e intellettuale. Non gli si deve nascondere la verità, la si fa affiorare usando l’incanto. Abbandonando l’idea del tabù, che è un problema di noi adulti. I ragazzini devono essere cresciuti in maniera più coraggiosa, Le favole di solito fanno paura, se togliamo la paura togliamo una parte della loro educazione. Occorre raccontare che la morte esiste e fa parte della vita e serve a ricordare i morti. Come nella splendida poesia di Mariangela Gualtieri Bello mondo quando dice: «Ringraziare desidero... i morti nostri che fanno della morte un luogo abitato».
Non si corre qualche rischio nell’attualizzare queste storie?
Ci sono temi che i bambini devono conoscere come la povertà e la discriminazione. Ho raccontato Biancaneve dove i nani avevano perso le gambe in miniera per un’esplosione. Ne La bella Rosaspina addormentata, lei si sveglia dopo 100 anni e il mondo è molto cambiato, c’è stata la Seconda Guerra Mondiale, ci sono la televisione, Facebook e i matrimoni gay. La mia Cappuccetto rosso era molto grassa perché la madre non era presente e lei soffriva di bulimia.
Lei che favole amava da bambina?
A me non raccontavano tante favole, non era un’abitudine. Mio figlio invece non dorme se non gli leggo le favole o se non me le invento al momento. Lui è stato adottato, viene dalla Russia, è un bambino speciale con una origine importante.
Cosa vorrebbe ancora mettere in scena?
Senza dubbio Pinocchio che è come Amleto. È nel cassetto e prima o poi lo faccio. Il più bello di tutti è stato quello di Comencini, poi ci si sono cimentati Carmelo Bene, Antonio Latella, i Babilonia Teatro. Pinocchio che si trasforma è mio figlio. Tutti i genitori hanno un Pinocchio, un essere che manovriamo noi, che prende il bene e il male da noi e poi finalmente diventa un bambino.
In quali dei suoi tanti progetti è impegnata ora?
I vespri siciliani saranno a Bologna e poi a Napoli e Madrid. In primavera girerò il mio terzo film, tratto dal mio spettacolo teatrale Misericordia incentrato sul tema della diversità. Anche lì al centro c’è un Pinocchio, un ragazzo che nasce difettoso dalla violenza di un uomo che uccide sua madre a calci e pugni. Lui parla e si muove male e viene cresciuto da tre prostitute. Si capisce che la povertà non è un problema rispetto all’amore che si può dare. Gli ultimi hanno questa capacità. Vorrei portarlo a qualche festival del cinema, ma a me già basterebbe uscire in sala. Perché per me il cinema va visto in sala e il teatro va visto a teatro. Bisognerebbe che tutti, dai produttori agli esercenti, lavorassero insieme in questa direzione.