Ricordiamo ancora il Pino Roveredo di vent’anni fa. Nel 1996 pubblica
Capriole in salita e in quel libro è facile notare l’assenza sia di merletti che di artifici. Nella sua mancanza di professionalità l’opera aveva la capacità di arrivare in modo diretto al senso delle cose, alle sensazioni, agli uomini che devono essere raccolti dal marciapiede quando sbronzi cercano di fare ritorno a casa. Del resto Roveredo scriveva di situazioni vissute in buona parte sulla pelle. Ecco, di Roveredo si apprezzò subito la capacità di scrittura e lo smarcarsi da un contesto, quello letterario, che irreggimenta gli scrittori dentro determinate linee guida imposte. Dal 1996 in poi Pino Roveredo ha scritto molto. Tanto. Racconti, romanzi, testi teatrali e si è creato un suo spazio nel mondo letterario dell’estremo nord est italiano. Roveredo viene da una città unica: Trieste. Il respiro della città di mare e al tempo stesso continentale, slava, ma fortemente italiana, arrampicata sulle montagne tanto che esiste una linea di tram che è costretta a percorrere un tratto a mo’ di funivia, ma dove il passeggio del sabato pomeriggio si fa sul molo Audace, nell’acqua. Roveredo nella sua scrittura riassume le belle contraddizioni di Trieste, ma questa nuova prova, la raccolta di racconti
Mastica e sputa, pur ripresentando i temi cari all’autore giuliano sembra offrire storie scritte in un modo meno efficace, meno pungente. È come se l’autore avesse un po’ messo da parte il tormento che abitava i suoi primi scritti e avesse accettato il patto non scritto con il mondo editoriale assecondandone in maniera involontaria il canovaccio. Beninteso, alcuni racconti restano di notevole fattura. “Il medico”, ad esempio, ha un attacco deciso, alla Roveredo, ma in altre circostanze questa vena si perde ed è come se un pugile che prima saliva sul ring per reagire alla disperazione adesso entra sul quadrato con un certo timore, sperando che la tattica impostata dal coach funzioni. Ci sono delle descrizioni che meritano, e tanto, come a pagina 47 dove parla dei bambini nutriti, male, dall’ente comunale di assistenza. O come quella unica pagina dedicata al mare al quale bisogna “portare rispetto perché altrimenti s’infuria e v’ingoia nel castigo”. Anzi, in quell’occasione avremmo voluto leggere di più. Avremmo voluto leggere del mare piuttosto che del viaggio a Lubiana che sembra un racconto speculare alla serietà di alcune delle altre storie, come se l’autore volesse alleggerire il carico del lettore, offrendogli una sosta tecnica nella cavalcata della lettura. Il titolo del libro,
Mastica e sputa, è preso da uno dei versi di De Andrè. Si segnalano altri racconti come “Tour de Paris” e “Mafalda”. Completano la raccolta alcuni racconti brevissimi, oltre quello già citato sul mare. Si tratta di storie che si esauriscono nell’arco di una pagina e a volte appaiono come degli incipit di narrazioni di là da venire. Per ultimo va citato il racconto “Lo facevano tutti”, cinque pagine con molti sottocapitoli che rappresentano l’apprendistato di un bevitore, dalla prima birra bevuta avvenuta in modo inconsapevole in tenera età, al legame quasi indissolubile con la bottiglia che ti permette di accettare i risvolti trucidi di una vita che non è portata a fare sconti a chicchessia.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Pino Roveredo
MASTICA E SPUTA Bompiani. Pagine 185. Euro 15,00