Suor Blandina Paschalis - Greco
«Il Volto Santo non si comprende se non si contempla alla luce della Parola: ascoltare e vedere. Il Volto parla, ci parla nel silenzio e la Parola ce lo mostra. Se il Verbo si è fatto carne, come cristiani non possiamo non desiderare di vederne anche il Volto». Suor Blandina Paschalis Schlömer sta parlando davanti al Volto Santo di Manoppello, nel piccolo spazio dietro l’altare della chiesa che lo custodisce, dove la gente si ferma a pregare contemplandolo da vicino, gli occhi magnetici e l’espressione cangiante a ogni mutazione di luce e di angolo visuale. Col teologo gesuita padre Heinrich Pfeiffer, scomparso pochi giorni fa, Blandina è certamente la maggiore studiosa di questa immagine: l’uno ha usato gli studi dell’altra e se ne sono reciprocamente avvantaggiati. Adesso, per rafforzare le sue parole, ci conduce nella vasta sala-museo che contiene i frutti delle loro ricerche e cita a memoria il l’arcivescovo della diocesi locale, Chieti-Vasto, il teologo Bruno Forte, che in una intensa conferenza del 2007 su “Il Volto Santo e la plausibilità teologica delle immagini acheropite”, ricordava due significativi passi dell’Apocalisse dai capitoli 1 e 5: quando il veggente si volta per “vedere la voce” e quando lo stesso Giovanni vede l’Agnello immolato «in piedi sul monte Sion – degno di ricevere sapienza e forza, onore gloria e benedizione… nei secoli dei secoli». «Quella voce – sottolinea suor Blandina – si vede e quindi ha un volto. Allo stesso tempo nel Volto Santo di Manoppello c’è la sottolineatura del soggetto storico della nostra fede, cioè un uomo visibile, palpabile, che ha pronunciato parole. Come l’Agnello immolato manifesta le caratteristiche di passus et glorificatus: cioè porta in sé i segni della passione e la luce della vittoria sulle tenebre. Ma è anche patiens et glorificans, colui che sta vivendo e vincendo il dolore e la morte: l’Agnello Immolato che regna da sempre e per sempre, al contempo vivo e offerto in sacrificio. Insomma – aggiunge la suora – a Manoppello si può vivere un incontro, mettendosi in ascolto così come si ascoltano le persone se si vogliono incontrare veramente». Suor Blandina è una monaca trappista. È tedesca e vive da eremita in una casa sulla collina che domina la basilica di Manoppello. La sua “storia” col Volto Santo ha quasi dell’incredibile. «Il Volto era all’inizio della mia chiamata, quando ho cominciato a pensare alle cose religiose Lui c’era già. A 15 anni mi hanno regalato i colori a olio e la prima cosa che ho dipinto è stato un volto di Cristo. Un’immagine in cui risaltavano soprattutto gli occhi».
Col Volto di Manoppello è stato amore all’istante?
No. L’ho visto la prima volta su una rivista nel 1979. Avevo 37 anni, ero in monastero e la mia reazione è stata di netto rifiuto. Non può esistere una fotografia di Dio, mi dicevo. Per me l’unico Volto era quello della Sindone. Ma da quel momento gli occhi di quell’immagine non mi hanno più abbandonato. La sera sono andata a cercare la rivista e ho letto l’articolo. Era di un italiano, Renzo Allegri, ed era stato tradotto in tedesco. Il Signore ha voluto entrare nella mia vita in questo modo per poi cambiarla radicalmente... Io, però, continuavo a oppormi.
Come?
In quell’articolo si diceva che le proporzioni del volto di Manoppello corrispondevano a quelle del volto sindonico e ho iniziato le mie ricerche per provare che non c’era attinenza. Non vole- vo vedere: era come una porta chiusa. Poi, lentamente, gli occhi si sono aperti. È iniziata anche la corrispondenza col padre Pfeiffer sulle immagini acheropite e sulle icone del volto di Cristo scoprendo che sono sovrapponibili al Volto di Manoppello. I sindonologi dicono che il riferimento originario per le icone è la Sindone, ma, mi chiedo come sia possibile che il modello sia stato un volto appena accennato come quello del positivo sindonico. Io ritengo che il riferimento storico sia stato il Volto Santo, poiché in esso ci sono evidenti tutti gli elementi ripresi dai maestri iconografi dell’antichità, resi evidenti sulla Sindone solo molto più tardi col negativo fotografico. Le mie ricerche di quel periodo sono state approfondite da Pfeiffer che pubblicò nel 1987, con Werner Bulst, il testo fondamentale su questo argomento, Das Turiner Grabtuch und das Christus-bild, aggiornato nel 1991, Volume II, Das echte Christusbild (“La vera o autentica immagine di Cristo”) e mai tradotto in italiano. E nel 1995 sono riuscita a venire per la prima volta a Manoppello.
Finalmente ha potuto vedere il Volto “dal vivo”.
La madre badessa mi diede il permesso di andare a trovare mia sorella minore ammalata che stava in Italia nel monastero di Vitorchiano. Sono partita con l’altra sorella, la maggiore, che poi mi ha portata a Manoppello. È stato un incontro bellissimo. Ho capito che mi chiedeva di entrare in dialogo, di farmi guardare da Lui, in un continuo travaso con la Parola e con la preghiera.
Cosa è cambiato nella sua vita?
Tante cose. In monastero il mio entusiasmo per il Volto Santo non era ben visto così come il mio desiderio di dipingere icone. Mi era stato accordato il permesso di spostarmi: prima in due monasteri in Francia dove ho approfondito gli studi iconografici, poi in un monastero cistercense in Sassonia. Pensavo di avere maggiore possibilità di agire in favore del Volto Santo, ma le cose non andavano meglio. Nel 2002 torno a Vitorchiano perché mia sorella si era aggravata e rivado a Manoppello. Incontro due persone che, separatamente, mi domandano per quale motivo non mi ero ancora trasferita a vivere lì. Pregavo e chiedevo a Gesù se questa era davvero la sua volontà.
Le risposte sono arrivate?
Tornata in Sassonia mi sono resa conto che le difficoltà aumentavano, allora ho chiamato la badessa del mio originario monastero trappista per avere un consiglio. La cosa stupefacente è che fu lei a chiedermi: “Vuoi vivere da eremita? In che luogo pensi di andare?”. La mia risposta: “A Manoppello”. E lei: “Come pensi di mantenerti?” Dissi che avrei potuto fare icone e venderle. E lei: “Se trovi una casa e rimani indipendente puoi farlo”. Sono venuta a Manoppello per una prova di tre mesi e sono rimasta: eremita trappista. La casa dove vivo è arrivata quasi come un regalo da una persona che me l’ha affidata finché vivo. E immaginate la sorpresa quando mi sono resa conto che dalle sue finestre e dal giardino c’è una veduta perfetta sulla chiesa del Volto Santo. Dopo, pensando a tutti i miei spostamenti ho capito che in ognuno avevo fatto un passo avanti verso il Volto Santo, a cominciare da quel primo volto di Cristo che avevo dipinto a 15 anni: recentemente mi sono resa conto che avevo disegnato gli stessi occhi magnetici che così tanto mi avrebbero colpito in quella rivista, nel 1979, spingendomi a riprenderla per leggere l’articolo. Sì, credo che far conoscere il Volto sia la mia missione.
A Manoppello ha proseguito le sue ricerche?
Ho fatto tante fotografie e mi stupivo che nessuna fosse mai uguale all’altra. L’espressione del Volto cambia. Sembra che non sia afferrabile: a volte la pelle sembra liscia, a volte come di un tessuto ruvido. A volte luminosissimo, a volte quasi invisibile nella trasparenza. E poi il fatto che si veda anche sul retro, ma come facce distinte, non simmetriche, ricorda l’Agnello dell’Apocalisse che ha occhi tutt’intorno: nella realtà glorificata Gesù ha lo sguardo ovunque e per chiunque. Questo è il Volto Santo.
E la corrispondenza con la Sindone?
Con la Sindone e col Sudario di Oviedo la sovrapposizione è ben precisa e dice di un mistero attraverso il quale Dio ci vuole incontrare. Questo è il volto di suo Figlio, il vivente. Un volto che cerca il contatto personale perché il Buon Pastore conosce le sue pecore una a una. Un volto che ci parla di umanità. Ci dice che sono le persone e non le idee a fare la Chiesa.