L’esortazione apostolica
Evangelii gaudium ha suscitato immediatamente un vasto dibattito e qualche polemica, soprattutto negli ambienti libertari nordamericani, sul significato delle parole del Pontefice in materia economica. Credo sia utile soffermarsi su un punto che ha destato un’accesa discussione nei suddetti ambienti. La frase in questione è la seguente ed è tratta dal paragrafo 54 del secondo capitolo. All’inizio del paragrafo, papa Francesco afferma: «In questo contesto, alcuni ancora difendono le teorie della “ricaduta favorevole“, che presuppongono che ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo».Stando all’edizione inglese del documento, con l’espressione “ricaduta favorevole”, traduzione un po’ infelice del cosiddetto “effetto sgocciolamento”, papa Francesco intenderebbe quel complesso teorico che va sotto il nome di
trickle-down teories. Usiamo il condizionale in quanto, nella versione spagnola, che si presume sia l’originale, abbiamo l’espressione
derrame che in inglese andrebbe tradotta con
spillover, per l’appunto “sgocciolamento”, e non
trickle-down che invece rinvia, con un significato negativo, a una certa prospettiva politica ed economica, identificabile con l’economica reaganiana: la
Reaganomics. E non crediamo che papa Francesco volesse riferirsi a una particolare azione politica e a una nazione. Per
trickle-down si intende la “ricaduta favorevole”, in termini economici, nei confronti dei percettori di redditi bassi, dei vantaggi fiscali accordati dallo Stato ai percettori di redditi alti. Più banalmente, si identifica con la fiducia che un mercato dinamico e flessibile sia in grado di produrre effetti positivi per tutti, anche per coloro che non operano immediatamente sul mercato, ma che, grazie alla dinamicità di quest’ultimo, potranno essere inclusi e partecipare a loro volta al suo dinamismo: una sorta di effetto traino dovuto ad un mercato dinamico.Dunque, si tratta di un sistema teorico e, come insegna la più accorta epistemologia delle scienze, al pari di qualsiasi sistema esso può essere più o meno apprezzato e più o meno condiviso, sempre criticato e in perenne assedio sotto il fuoco dei tentativi di falsificazione. Un sistema teorico, per definizione, ha un profilo descrittivo, ci offre una grammatica e una sintassi per rispondere alla domanda circa il come e il perché del darsi di un fenomeno, non ha, ovvero non dovrebbe avanzare, alcuna pretesa normativa. In breve, dovrebbe aiutarci a descrivere e a spiegare i processi con i quali la realtà si manifesta, evidenziandone lo scarto rispetto al modello, e non a prescriverla, a plasmarla, come se fosse un ideale verso cui tendere e non uno strumento che la misura.A questo punto, che cosa ci dice papa Francesco in quella frase e nelle altre contenute nei paragrafi più immediatamente dedicati alle problematiche economiche? In primo luogo, non sembra che il Pontefice neghi o condanni il mercato, anzi riconosce che il mercato favorisce la crescita economica. Tuttavia, il Papa ci dice che la
crescita, trainata dal mercato, non è immediatamente sinonimo di
sviluppo; e come negarlo? Il mercato, dinamico e aperto, potrebbe essere lo strumento migliore per incrementare la crescita, ma tale crescita (elemento quantitativo) non si traduce necessariamente in
sviluppo umano integrale (elemento qualitativo), che poi è ciò che interessa alla Dottrina sociale della Chiesa e che dovrebbe interessare ciascun cristiano. In secondo luogo, non risulta che il Papa affermi che l’impossibilità di ridurre lo sviluppo alla crescita economica sia imputabile al mercato in quanto tale. Il mercato è un dispositivo-processo per la raccolta e la trasmissione di informazioni, coordinato dal sistema dei prezzi. In pratica, il mercato è lo strumento di cui si servono gli operatori economici e svolge la sua funzione nella misura in cui ottimizza – sotto vincoli – il processo di raccolta e di trasmissione delle informazioni in ordine alla domanda di beni e servizi. Non possiamo chiedergli di dire e di fare ciò che non sa dire e che non può fare. Lo
sviluppo integrale non è riducibile alla mera
crescita economica perché presuppone una dimensione meta economica, culturale, valoriale che il mercato non produce da sé, se non mediante le persone che in esso vi operano. Come, tra gli altri, ci hanno insegnato i padri dell’economia sociale di mercato, a partire da Wilhelm Röpke e da Luigi Sturzo, argomento ripreso peraltro da papa Benedetto XVI nella
Caritas in veritate, ma come del resto ci ha insegnato anche Adam Smith, il mercato nudo e crudo semplicemente non esiste. Esistono i valori, le culture, le fedi, le tradizioni che conformano le istituzioni che, a loro volta, erigono i mercati e qualificano i processi di mercato. In breve, sono le scelte e le azioni degli operatori che offrono la cifra umana di un mercato, il suo volto, la sua storia.Dunque, affermare che lo sviluppo è irriducibile alla mera crescita economica, significa riconoscere il primato della cultura, la centralità ontologica, epistemologica e morale della persona e un’idea di istituzioni politiche, economiche e culturali, tra le quali il mercato, la cui cifra morale è data dalla prospettiva antropologica espressa da coloro che in esse operano.In pratica, significa ammettere che si possa dare una
crescita senza lo
sviluppo, perché esiste un profitto di monopolio, un profitto di guerra; perché esiste il profitto di chi pretende di raccogliere senza aver prima seminato, di chi si approfitta delle strette relazioni con il potere, di chi devasta la terra, di chi traffica in droga e in armi; perché esiste un profitto di chi consuma in modo dissennato le ricchezze prodotte dalle generazioni precedenti e di chi scarica i costi del presente sulle generazioni future. In definitiva, affrancati dall’insano fuoco dell’ideologia, perché esistono persone che operano in politica come in economia e in qualsiasi altro ambito del vivere civile mosse dall’irresponsabile proposizione «a ogni costo e a qualsiasi prezzo».