«Ci voleva proprio un papa come Francesco». Esordisce così Mary de Rachewiltz, che dall’alto dei suoi 90 anni e del castello tirolese di Brunnenburg, ricorda come suo padre, il poeta americano Ezra Pound, amasse a tal punto il poverello di Assisi da tradurre in inglese il
Cantico delle creature già nel lontano 1910. Poetessa, traduttrice dei
Cantos, custode della memoria del padre, la de Rachewiltz si mantiene in qualche modo eternamente giovane grazie all’incessante dedizione verso l’opera vastissima del Miglior Fabbro, che racchiude in sé sempre nuovi spunti e suggestioni. Ci fa notare che «si parla sempre di Pound e letteratura, Pound ed economia, Pound e politica e non si menziona quasi mai il Pound non dico mistico ma religioso. Eppure nei
Cantos i riferimenti alla fede sono tanti». Basti pensare a quell’accenno al «Dio di tutti gli uomini, nessuno escluso» incastonato nel Canto 113 e ancora il Canto 110 che si apre con l’immagine della quiete dimora dell’Alma Mater di Torcello per poi descrivere il rito delle purificazioni e invitare alla preghiera. «Più invecchio più mi rendo conto che gli ultimi dieci anni di silenzio di mio padre erano anche un atto di umiltà. E d’altronde papa Bergoglio mette spesso l’accento sul valore dell’umiltà », dice la de Rachewiltz. Papa Francesco unisce due carismi: quello ignaziano e quello francescano. E Pound era legatissimo non solo all’avventurosa epopea dei gesuiti come Matteo Ricci in Cina, ma anche all’insegnamento poetico, filosofico e sociale dei francescani. Sarà un caso? «Proprio in questo periodo sto rileggendo i 13 volumi della storia della Cina scritti nel ’700 dal gesuita francese G.A.M. de Moyriac de Mailla, una delle fonti principali dei
Cantos. Emerge con tutta evidenza che il cattolicesimo e il confucianesimo possono andare d’accordo, come avevano sostenuto i missionari della Compagnia di Gesù e come aveva ribadito più volte Pound. Il confucianesimo non è una religione ma un’etica, una serie di insegnamenti morali che possono essere compatibili con la fede cristiana». In un appunto scritto nel periodo della prigionia, quando, accusato di collaborazionismo con il regime fascista, venne rinchiuso in una gabbia nel Disciplinary Training Center vicino a Pisa, il poeta arriva a proporre, in linea con gli insegnamenti dei missionari gesuiti, un accostamento fra confucianesimo e cattolicesimo: evidenzia il valore positivo del sacramento della confessione come forma introspettiva di consapevolezza del sé, la difesa della famiglia intesa come cellula di ordine e rispetto reciproco, l’importanza dei riti, come il sacrificio eucaristico. «Era attratto soprattutto dalla simbologia del cattolicesimo – ricorda Mary de Rachewiltz –. Per lui il cristianesimo non era solo un frutto dell’ebraismo: si innestava nella tradizione di Atene e di Roma. Ecco perché ammirava i filosofi neoplatonici francescani, come Grossatesta. Nessuno sostiene che Pound fosse un mistico cattolico. Ma l’elemento della religiosità è ben presente nella sua poesia ed è un aspetto che non è stato messo in luce abbastanza dagli studiosi». La figlia, cresciuta in una famiglia tirolese, è invece molto legata al cattolicesimo, e non solo nella sua forma culturale come il padre. Cerca costantemente dei punti di contatto fra la fede cristiana e la poetica dei
Cantos. Per esempio è rimasta positivamente colpita quando Angelo Scola, nella sua veste di patriarca di Venezia, citò Pound nella sua omelia di insediamento e così ha voluto incontrarlo nella cornice magnifica della basilica di san Marco. «Per me è stato un incontro molto importante », dice. Mary de Rachewiltz non tocca invece volentieri il tasto dei rapporti del padre con il fascismo. Vero è che l’idea che Pound si era fatto del regime era quantomeno visionaria: basti pensare che accostava il Duce statalista al padre nobile del liberismo e dello Stato minimo, Thomas Jefferson. Ma durante il secondo conflitto mondiale si mise nei guai trasmettendo da Radio Roma discorsi dal chiaro sapore propagandistico. «Spesso si accusa Pound per la sua simpatia verso Mussolini mai rinnegata », osserva la figlia, «ma poi si dimentica che in quel periodo anche parte della Chiesa assunse una posizione di parziale sostegno al regime, come la grande maggioranza degli italiani. Mio padre si trovava bene a Rapallo e ammirava la civiltà latina. Ma, dopo la guerra, a parte qualche accenno nei
Pisan Cantos, non tornò mai su quella presa di posizione se non per difendersi e sottolineare che da Radio Roma parlava come libero cittadino americano. Non era certo un nostalgico, guardava avanti». La de Rachewiltz è molto critica nei confronti dei sostenitori di Casa Pound che invece sono nostalgici, eccome: si definiscono i “fascisti del Terzo Millennio”. Sente che, in qualche modo, è stato scippato il cognome di famiglia da individui che nulla hanno a che fare con l’opera culturale di un poeta. «Pound non era sicuramente un fan del manganello, al contrario di questi ragazzi. Sono sicura che a mio padre tutta questa violenza non sarebbe piaciuta».
Not in my name, non in mio nome, avrebbe forse detto. Pacifista convinto, contrario alla pena di morte, non si stancava infatti mai di ripetere che non esistono guerre giuste: «Uomini siate non distruttori».