«È la prima volta che affronto l’Apocalisse. Ma la mia non sarà una banale lettura, sarà un’esperienza». Il 50enne Massimo Popolizio, forse l’unico mattatore della sua generazione, star del teatro con incursioni nel cinema e in tv, perlopiù nel ruolo del cattivo, leggerà tutta l’
Apocalisse di Giovanni domani al Sacro Monte di Varese. L’iniziativa è del Festival «Tra sacro e Sacromonte 2011», promosso e ideato dalla Fondazione Paolo VI per il Sacro Monte.
Popolizio, lei che passa da Molière e Shakespeare, ha già affrontato testi sacri?Io mi sono scontrato con questo tipo di testi per la prima volta 15 anni fa, quando lessi tutto il Vangelo nel Duomo di Prato. Fu un esperimento riuscitissimo, tre ore e quaranta filate con una chiesa gremita di gente attentissima. Per me è stata un’esperienza forte.
E lei come si pone, personalmente, di fronte al sacro e alla fede?Io sono laico, ma mi interesso alla sacralità. Testi come il Vangelo e l’Apocalisse, non possono lasciare indifferenti. Già nel linguaggio dei Vangeli c’è un ritmo potente, una specie di "mantra" che però è il nome di Cristo. È il soggetto ripetuto ritmicamente che, anche nella scrittura, fa capire che è lui il centro di tutto. Insomma, quando si ha a che fare col sacro, ti succede qualcosa, non c’è niente da fare.
E ora come affronta l’ApocalisseLa leggerò tutto dall’inizio alla fine: un’ora e mezza filata che, le assicuro, toglierà il fiato agli spettatori. Accanto a me, ci sarà un percussionista, Francesco Pinetti, col quale creiamo dei contrappunti fra musica e parola. Costruiremo un paesaggio visionario fortissimo. Un testo come quello di Giovanni non ha a che fare con la letteratura, né col teatro, né coi recital: leggi qualcos’altro. Non so quello che sarà, ma so quello che non devo essere: né istrionico, né esageratamente mistico.
Un testo, però, non facilissimo da comprendereQuello a cui l’uomo non arriva con l’intelletto, si può cogliere attraverso le emozioni. Il compito di un attore è, appunto, quello di interpretare. Non si può leggere l’
Apocalisse come
SuperQuark. Se lo stato emotivo è quello del furore, te lo comunico col modo in cui dico quella cosa. E poi, l’
Apocalisse parla del Mistero, come fai a definirlo? Per esempio, quando parla della resurrezione della carne, o ci credi, o non ci credi. L’
Apocalisse ha un tono di perentorietà, ti travolge, ti solleva in alto. Non si può ridurre tutto allo stato razionale.
A proposito di altezze, lei lo leggerà in cima al Sacro Monte di Varese.Ha un senso particolare leggere l’
Apocalisse lì, un posto in alto, con una straordinaria veduta sulla città, col valore aggiunto di essere soli. È difficile, in questo mondo, stare in un luogo solitario dove ritrovare se stessi. Farà parte della magia della serata.
Anche il teatro in genere, ha a che fare con la sacralità, non trova?Certo, io ho capito cosa significa cosa c’è di sacro, ma non per forza religioso, nell’esperienza teatrale, quando intepretai uno straordinario testo di Sime Weill, Venezia salva. Il nostro mestiere è mettere in scena l’uomo, e la sacralità è insita nel farlo. E importante però come ti poni nei confronti del tuo lavoro, è questione di professionalità.
Lei ne trova ancora fra gli artisti italiani?Guardi, io ho avuto la fortuna di lavorare con dei grandi, e parlo di Ronconi, Franchi, Branciaroli, Orsini, la Melato. Gente per cui il lavoro è sacro, senza retorica. Purtroppo ultimamente si tende ad abbassare l’asticella credendo di incontrare il favore del pubblico. E poi, diciamolo, il teatro oggi in Italia non interessa a nessuno.
Pessimista?No, realista. Pensi che su Wikipedia trova tutto quello che ho fatto come doppiatore, da Tom Cruise a Lord Valdemort in
Harry Potter, e come spettacoli teatrali ne è citato solo uno. Io veramente ne ho fatti 75...
Sul cinema italiano, allora, è un po’ più ottimista.Per fortuna al cinema vengo scelto da gente che mi ha visto a teatro e mi stima, da Sorrentino per
Il divo fino ad Aldo, Giovanni e Giacomo per
La banda dei babbi Natali. Ma non è che le occasioni abbondino per ruoli e film di ampio respiro come
Il discorso del re. Il cinema italiano si è cristallizzato a raccontare storie autoreferenziali. Si cerca il consenso del pubblico e manca il coraggio. Il problema è che manca la figura del grande produttore.
Progetti?Ho in ballo un paio di film e sto aspettando che la Rai concluda per la fiction sui Casalesi. Che ruolo avrò? Quello del cattivo, ovviamente...