sabato 30 dicembre 2017
Ecco il primo plantoide, capace di imitare il comportamento delle radici e dei loro molteplici sensori. Parla la scienziata Barbara Mazzolai, direttrice del Centro di Microbiorobotica dell'Iit di Pisa
«Come studiare il suolo? Con piante robot»
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Non è stato facile combattere lo scetticismo iniziale di fronte al progetto, poi denominato “Plantoid”, del primo robot ispirato alle piante, capace di imitare il comportamento delle radici, combinando con la biomimetica una nuova generazione di tecnologie hardware e software. «In natura solo la talpa è ideale per l’esplorazione del suolo» è stata l’obiezione ricorrente alla biologa Barbara Mazzolai, direttrice del Centro di Microbiorobotica dell’Istituto Italiano di Tecnologia a Pisa che, per aver riconosciuto le piante come fonte di ispirazione e soggetto della robotica, è stata inserita dalla più importante comunità scientifica internazionale del settore, Robohub, tra le 25 donne più geniali al mondo. Non è nuovo che la biorobotica prenda a modello esseri viventi, umani o animali, ma mai le piante «che, invece, costituiscono una macchina eccellente per il monitoraggio dell’ambiente, grazie alle molteplici radici comunicanti tra loro e dotate di molti sofisticati sensori, e, dunque, ottimo oggetto di “imitazione” tecnologica – spiega la Mazzolai, già vincitrice del premio Bellisario per la robotica di servizio e della Medaglia del Senato della Repubblica Italiana – precisando che Plantoid, finanziato poi dalla Commissione Europea, «si muove e cresce come le radici: si allunga per esplorare il terreno in cerca di nutrienti, cambia direzione ed aggira gli ostacoli”. Una novità di livello mondiale che ancora una volta individua nella robotica una perla della ricerca e dell’industria Made in Italy.

Come è nata l’intuizione, non immediata, di un robot bioispirato alle piante e come ha avuto seguito lo studio bioingegneristico?

«Occupandomi, nell’ambito del monitoraggio ambientale, della realizzazione di sensori per tracciare la presenza di inquinanti, per cercare di ampliare le aree di monitoraggio e predirne l’impatto su ambiente e salute, cercavo soluzioni per integrare tali sensori in dispositivi robotici. Non esiste, del resto, fonte di ispirazione migliore della natura, che in miliardi di anni ha escogitato infinite soluzioni a numerosi problemi. Le piante, poi, si adattano molto rapidamente alle variazioni ambientali, sono uno strumento naturale di esplorazione capillare del terreno, grazie ai sensori di cui sono integrate, e creano dei network più efficienti di qualsiasi rete artificiale. Questo è stato il semplice presupposto di fondo alla robotica soft – scienza combinata di biologia e ingegneria tesa allo sviluppo di tecnologie oltre il rigido contesto delle macchine industriali – che ha portato alla nascita del primo prototipo di automa di servizio, uno “spazzino” per il monitoraggio dell’igiene urbana concepito per la raccolta differenziata».

Plantoid è, dunque, un unicum a livello mondiale?

«Non solo è unico nel suo genere, ma il nostro team con il Moving by Growing (Movimento dalla Crescita) ha introdotto un nuovo paradigma nel campo della robotica mondiale. Si pensa alle piante come immobili: in realtà, si muovono secondo un processo di “aggiunta di materiale”, un meccanismo di accrescimento cui corrisponde il movimento. Per lo studio del movimento, della comunicazione e della sensoristica, i modelli tradizionali di biospirazione sono i batteri: il progetto ha invece dimostrato che, a partire dalla capacità di moto e percezione delle piante, si generano tecnologie del tutto innovative».

Come funziona e cresce esattamente questo robot?

«Le radici del robot si alzano dall’apice mediante una stampante 3D miniaturizzata che custodisce la sezione elettronica della macchina e cambia la viscosità dei filamenti di Pla (il polimero di materiale termoplastico usato nei processi industriali di stampa) aumentando la temperatura; grazie a motori integrati che tirano il filamento di Pla, la direzione di crescita può essere regolata in base alle necessità che sono determinate dai sensori sulla punta delle foglie, che si aprono e chiudono in funzione dell’umidità dell’aria, dotate di 5 sensori ognuna: di gravità, umidità, temperatura, tattili, per evitare gli ostacoli e chimici, per individuare i nutrienti nel suolo. Se programmo il robot per cercare l’acqua, ad esempio, la radice crescerà in quella direzione. Ad addentrarsi nel suolo è l’apice della radice, grazie alla capacità di allungamento delle braccia del plantoide in risposta agli stimoli esterni, con il resto del “corpo” fermo. Così, la resistenza del terreno alla penetrazione è minima, perché la punta può spingersi a fondo riducendo pressioni e attriti. Questo è il segreto che le piante usano per radicare anche in ambienti estremi e che noi abbiamo replicato, come molti altri meccanismi naturali propri dei vegetali, in una sorta di bonsai hi-tech».

Quali sono i campi d’applicazione?

«Anche se concepito per il monitoraggio del suolo (segnalando presenza di contaminanti, metalli pesanti, azoto, fosforo), le molteplici applicazioni vanno dal settore spaziale alle tecnologie endoscopiche in campo biomedico e, in futuro, probabilmente, a quello medico: la funzione di allungamento e flessibilità consente esami meno invasivi e dolorosi, riducendo i contatti più delicati, grazie a endoscopi sottili che si accrescono all’interno di ambienti ristretti, come le anse celebrali, senza sfiorare nessun tessuto sensibile. Poi, in collaborazione con l’Esa (Agenzia Spaziale Europea) abbiamo valutato la possibilità di esplorazione di suolo extraterrestre e di ricerca di eventuali risorse, mentre i sistemi di ancoraggio delle radici al terreno potrebbero fornire il modello di quelli delle sonde su superfici ostiche, come nel caso di Rosetta e Philae nell’esplorazione della cometa Churyumov Gerasimenko dove problematico è stato l’ancoraggio del modulo alla superficie».

Dunque, pur in assenza di un sistema centralizzato di integrazione, le piante producono una risposta coordinata, una strategia che denota una forma di intelligenza, anche se parlare di “intelligenza” dei vegetali lascia perplessi. «Diciamo che dal controllo centrale degli animali si passa a uno distribuito delle piante. Ciò che conta è che la strada abbia aperto al coinvolgimento di molti altri ricercatori nel mondo, in modo che intorno a questo nuovo concetto di robotica si allarghi una comunità scientifica di ampie vedute che veda nella diversità un valore e nelle sfide tecnologiche un’opportunità concreta per il pianeta ed i suoi abitanti».

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