Il vento che passa sulle piste da sci e sugli impianti di risalita a Roccaraso, in provincia dell’Aquila, disturba gli sciatori e i turisti. È vento in quota (1200-1500 metri) e queste sono le piste più alte dell’Appennino. Roccaraso, stella del turismo invernale che vi confluisce da tutta l’Italia centromeridionale, è oggi associata a pensieri di vacanza, di spensieratezza, di case e di strutture alberghiere venute su come funghi in 50 anni; a meravigliose viste che i boscosi monti d’Abruzzo dispensano, sulle vaste sottostanti valli, in ogni stagione. Ma non erano questi i pensieri ispirati dalle montagne abruzzesi a Hitler e al comando generale della Wehrmacht a Berlino nel 1943. Il führer in persona da mesi puntava il dito su monti di cui non conosceva il nome, ma di cui conosceva l’altezza, dove attestare la linea Gustav, prevedendo la caduta del fascismo e la necessità di creare un fronte che contrastasse la risalita degli angloamericani; già dalle settimane successive al Gran Consiglio di luglio e alla destituzione di Mussolini, anche prima dell’8 settembre, ammassava infatti divisioni al Brennero. Era furente: l’alleato italiano l’aveva tradito costringendolo a impegnarsi anche a sud, con le sorti della guerra già compromesse altrove. E qual era l’area dove attrezzare questo nuovo fronte, nel punto più stretto della penisola tra i due mari, Tirreno e Adriatico? In Abruzzo e nel Lazio meridionale, senza dubbio: perché lì stavano le cime più alte dove gli angloamericani avrebbero segnato il passo. Per sfortuna di queste terre tra i due mari, che ne recano memoria con decine di migliaia di caduti da ambo le parti, era infatti prevalsa a Berlino la tesi di Kesselring di posizionare il fronte qui anziché, come voleva Rommel, più a nord dove poi si sarebbe attrezzata la linea Gotica. Così dopo l’8 settembre nell’Italia del "tutti a casa", con la monarchia in fuga, nessun governo e un Paese «in tocchi», cioè a pezzi, come diceva Vittorio Emanuele III, i tedeschi calarono fulmineamente e cominciarono ad attrezzare la linea Gustav, ordinando lo sfollamento generale a tutti gli abitanti dei paesi che stavano più in alto, con perentori proclami. Non sempre questi ordini erano capiti, come a Pietransieri, frazione del comune di Roccaraso. Non erano compresi in quanto incomprensibili. Non c’era un paese da sfollare, o meglio il proclama si riferiva a nuclei abitati e il piccolo giro di case intorno alla chiesa s’era svuotato, ma lo sfollamento non si riferiva ai cascinali più in alto, isolati (a chi potevano interessare quelli?) e abitati da allevatori, fuggiti agli alpeggi in quota con la loro unica base di sopravvivenza, qualche bestia. Così nelle povere case sparse dei Lìmmari, tra i boschi, c’erano rimasti quasi solo vecchi, donne e bambini, nel novembre del ’43. Si aspettava di passare l’inverno, arrivato precoce e rigido. Si aspettava che i tedeschi se ne andassero, con le loro minacce di morte a chi non sfollava; di morte inflitta, non solo minacciata. Giravano voci che già varie persone (18) fossero state uccise dai tedeschi nei giorni che precedevano il 21 novembre 1943: ma in quella domenica quattro di loro, che sarebbero rimasti ignoti per sempre, col passo del demonio (anche perché ai "Diavoli Verdi" pare appartenessero i quattro assassini di un
einsatzkommando alle dipendenze di non si sa chi, e per ordine di non si sa chi) risalirono il valloncello verso i Limmari ed entrati nelle case uccisero all’istante a raffiche di mitra chiunque si trovasse lì: cioè donne, vecchi e bambini. Era mattina, alcuni si erano appena alzati per il latte e la zuppa d’orzo. Li ritrovarono con la faccia riversa sui tavoli, i corpi delle madri abbracciati a quelli dei bambini, in pozze d’orzo, sangue e latte tra le ciotole rovesciate. Il grosso, 110 persone, furono radunate e condotte lungo il greto d’un torrentello fino a un albero con piazzata sotto una mina. Lì i tedeschi aprirono il fuoco e fecero brillare la mina. In pochi minuti, dal mare di carne insanguinata non si levarono che lamenti dei pochi agonizzanti. I cadaveri rimasero lì per mesi. Gli uomini riparati agli alpeggi non potevano scendere, forse non sapevano neppure. Ma una nevicata abbondantissima coprì i corpi: lasciati insepolti dagli uomini, furono sepolti dal cielo. Alla strage sopravvisse, gravemente ferita, soltanto una bimba di 6 anni, nascosta sotto il cadavere della madre, accanto a quelli dei fratellini e delle sorelline, Virginia Macerelli, che oggi ha 76 anni ed è tornata a vivere a Pietransieri con la famiglia, dopo essere stata in Inghilterra. Un sacrario ricorda i 128 morti di Pietransieri: il più vecchio aveva 80 anni, il più piccolo 8 mesi; sorge su un’altura e il vento s’infiltra tra le fessure dei cardini. Se sapessimo capirne la voce, racconterebbe che l’odio non ha nome, come sconosciuti sono rimasti quelli degli assassini, ma arriva ovunque, fin sulle cime dei monti e dunque, da ora in poi, la parola Pietransieri (accanto ad altre più tremende, come Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema e ancora altre) deve accompagnarci come monito del suo perenne stare in agguato, in altre storie su cui per primo il vento passerà e che a lui toccherà di raccontare.