giovedì 17 febbraio 2022
Al Piccolo di Milano l'attore interpreta il gerarca ideatore della soluzione finale a confronto con Ottavia Piccolo nei panni della scrittrice ebrea.
Ottavia Piccolo e Paolo Pierobon in "Eichmann - Dove inizia la notte" di Stefano Massini

Ottavia Piccolo e Paolo Pierobon in "Eichmann - Dove inizia la notte" di Stefano Massini

COMMENTA E CONDIVIDI

«Cosa si prova ad impersonare Adolf Eichmann? Quando si affrontano questi tipi di personaggio, occorre una specie di sospensione del giudizio, ma qui è veramente dura». L’attore Paolo Pierobon è abituato a ruoli al limite, ma questa volta impersonare il criminale nazista ideatore della soluzione finale, risulta particolarmente complesso. A combattere su un ideale ring con Pierobon (da oggi nelle sale col film Io sono vera di Beniamino Catena) ci sarà Ottavia Piccolo, nel ruolo di un’incalzante Hannah Arendt, autrice del libro La banalità del male.

Sono questi due straordinari attori i protagonisti di Eichmann. Dove inizia la notte, prodotto dal Teatro Stabile di Bolzano e dal Teatro Stabile del Veneto, che debutta in prima nazionale, giovedì 24 febbraio al Piccolo Teatro Grassi di Milano, è diretto da Mauro Avogadro e sarà in tour sino a maggio. Il nuovo atto unico di Stefano Massini, porta in scena lo scontro immaginario tra Hannah Arendt e Adolf Eichmann. Chi fu realmente Eichmann? Che tipo di personalità si nascondeva dietro la divisa nazista di colui che ideò la soluzione finale e organizzò nei dettagli il massacro di sei milioni di ebrei? Prova a dare una risposta Stefano Massini, nella drammaturgia che ha realizzato a partire dagli scritti della filosofa ebrea Hannah Arendt, dai verbali degli interrogatori a Gerusalemme, dove Eichmann fu processato dopo l’arresto avvenuto nel 1960 in Argentina, e dagli atti del processo.

«I riferimenti temporali sono molto dettagliati, anche se l’ambientazione è in un luogo non precisato » spiega ad Avvenire Pierobon. Il confronto- scontro ricostruisce così passo dopo passo carriera e ascesa del gerarca, delineando il ritratto di un uomo mediocre, arrivista e opportunista. Ne risulta così che Eichmann non è un mostro, bensì un uomo spaventosamente normale. «Occorre fare un doppio gioco con queste figure, ed è anche la scrittura che ti suggerisce come affrontarlo – prosegue l’attore –. In questo dialogo immaginario tra Eichmann e la Arendt tu hai la libertà di mostrare il personaggio per quello che è, e devi anche riuscire ad avvicinarlo al pubblico, il quale deve riconoscergli dei difetti comuni a tutti. Occorre stabilire un’empatia paradossale, perché dipingerlo come il male assoluto, e quindi inarrivabile, è un errore». Per la Arendt Eichmann era la «banalità del male » ma Pierobon la trova una frase «molto inflazionata. In scena non diamo definizioni assolute, ma cerchiamo di cogliere questo gerarca in diversi aspetti. Sarebbe facile dipingerlo come una persona dimessa, uno qualunque. Invece fra la gente qualunque c’è chi ha deciso di morire, chi di combattere, chi di resistere».

Fra l’incalzare delle domande della Arendt, e monologhi di riflessione sulla natura dell’uomo, si cerca di entrare nel mistero del male. «A teatro cogliamo Eichmann nel suo ufficio mentre sfodera il suo umorismo bieco e sottolineiamo il suo arrivismo conclamato – aggiunge l’attore –. Lei gli chiede se si è mai vergognato di organizzare i treni della morte. La sua risposta è quella di uno che psicologicamente rimbalza il problema. Lui piuttosto si vergogna di appartenere all’ufficio ebrei, che è quello considerato più sporco. Senti un muro, una irragionevolezza di fondo, foderata da un ragionamento logico interiore per autogiustificare le proprie azioni». Uno spettacolo necessario, quindi, per smuovere le coscienze in un periodo così a rischio di nuovi fondamentalismi e nazionalismi come il nostro? «Durante la pandemia sono usciti sproloqui di qualunque tipo sui social, stiamo vivendo una fase complicata – aggiunge Pierobon –. Ora in scena ci sono M, il Mussolini di Scurati con Massimo Popolizio, e Eichmann: la funzione di noi attori dovrebbe essere di non renderli “modelli” inarrivabili e lontani, ma cercare di renderli vicini a noi. Così possiamo immedesimarci e comprendere che se fossimo vissuti ai loro tempi avremmo potuto schierarci fra gli indifferenti o fra quelli che reagivano».

Certo è, che il rischio che la storia si ripeta è reale. «Tutto parte dal privato e da che atteggiamento hai nel piccolo contesto che ti identifica nella vita di tutti i giorni, come ti comporti con gli altri, come subisci, come predomini – conclude –. Di documentari bellissimi e talk show siamo pieni. L’occasione che ha il teatro è quella di avvicinare fisicamente di più la questione, di riuscire a dare qualcosa di più di una mera informazione. E di toccarci davvero».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: