Jorge Mario Bergoglio e Antoine Jean-Baptiste Marie Roger de Saint-Exupéry: accostamento forzato o due voci che, pure sbucando da epoche, geografie e sensibilità diverse, scoprono di cantare in coro? Quando mi è stato chiesto di far commentare Il Piccolo Principe da papa Francesco il dubbio è stato immediato e con esso la ferma determinazione: forzature no, mai. Piuttosto rinuncio, ma maltrattare una meravigliosa fiaba e un ottimo pontefice, giammai.
Il dubbio si è dissolto a poco a poco. Leggendo Saint-Exupéry e cercando analogie, assonanze e rimandi in Bergoglio, una cosa risultava evidente: qualunque fosse l’argomento, entrambi parlavano al bambino. Non un bambino qualsiasi, ma il bambino che ancora abita in me; il bambino che – nonostante i doveri assortiti, la professione, i troppi eventi della vita che ti spoetizzano cercando di renderti disincantato e cinico – ancora respira e vive da qualche parte nella mia anima. Attenzione però. Il bambino di quei due (papa argentino e aviatore francese) non ha nulla di zuccheroso e infantile, e va preso tremendamente sul serio perché può cambiarci la vita, ossia il modo in cui osservare le cose attorno a noi e agire di conseguenza. L’occhio del bambino è quello del piccolo principe: impossibile ingannarlo. Nota immediatamente le contraddizioni e va dritto al nocciolo delle cose, là dove risiede la loro verità profonda. Per parlare con il bambino è necessario dimenticare le ritualità degli adulti, accettare il paradosso, prendere sul serio ciò che apparentemente potrebbe apparire assurdo, insomma stare al gioco della purezza. Ed è quello che fa l’aviatore smarrito, in cerca della via di casa, quando incontra il minuscolo esploratore.
L’insegnamento di papa Francesco, in un certo senso, è un continuo appello a lasciare strada libera al bambino, ad ascoltarne le ragioni. Il bambino ama i legami, cerca gli affetti duraturi, ha bisogno di contare su qualcuno che ricambi lo stesso amore intrecciando una relazione solida. Temi che sarebbero piaciuti a Zygmunt Bauman perché costituiscono un formidabile antidoto alla modernità liquida, che rende friabili e liquefà le relazioni forti, tutti i sogni individuali che, incontrandosi e unendosi, diventano il progetto di una comunità: di lavoro, di affetti, sociale…
Il capitolo più noto del Piccolo Principe, quello in cui la volpe chiede di essere «addomesticata » (preparato dal rapporto speciale tra il principe e la sua rosa), è un invito a dare spazio al bambino, a non ostacolarlo ma, anzi, a facilitarne il compito. Soltanto se hai un cuore da bambino sei capace di accettare l’inatteso, l’inaspettato. Proprio come l’aviatore, per nulla stupito dall’incontro con il principe sceso a esplorare la Terra; capace di dialogare con lui secondo i suoi parametri, disegnando la pecora e rammaricandosi di aver scordato la museruola…
La Chiesa in uscita di Bergoglio è precisamente questa, una Chiesa capace di entrare in sintonia con chi non parla il suo linguaggio. È una Chiesa che si china e cerca di comprendere, una Chiesa capace di riconoscere un bambino, quando lo incontra. E decisa a farlo emergere, quando si accorge che vive in un’anima divenuta una prigione che soffoca il bambino. Il bambino è un esploratore nato. Non puoi costringerlo in uno spazio chiuso sempre uguale: una vita fatta solo di lavoro monotono o di ricerca ossessiva di un consumismo che non sazia mai. Una vita – il piccolo principe incontra diversi tipi umani del genere – consacrata al potere, al denaro, alla ripetizione ossessiva di gesti privi di senso che vengono reiterati perché «si è sempre fatto così» e, soffocato il bambino, nessuna alternativa appare possibile. Vite da cui i bambini sono esclusi. Vite che li tengono segregati con estrema cura perché, se si liberassero, manderebbero tutto all’aria.
Il bambino esplora, fa domande dirette, dà fiducia e, quando rimane deluso, la sua delusione è cocente. Il bambino è fedele e anche responsabile, se gli viene affidata una responsabilità. Il bambino sa prendersi cura di ciò che gli sta a cuore: il bambino fanciullo che si prende cura del suo giocattolo preferito, della raccolta delle figurine, del peluche con cui dorme abbracciato sarà un bambino adulto che si prende cura della sua famiglia e del suo lavoro, per il quale gli amici sono tutti unici, diversi e tutti preziosi. Per il quale gli altri non sono estranei da ignorare ma fratelli, uniti nel comune destino di essere uomini qui, ora, su questa Terra, in questo tempo. Che tristezza se incontro chi mi dice di non avere neanche un amico, confida Francesco. Il bambino ha fantasia, tanta.
Ma immaginare non significa perdere il contatto con la realtà. Al contrario, significa saper vedere una realtà diversa e migliore. Significa fare progetti e impegnarsi per realizzarli. Lanciate una bella sfida a un bambino e, per quanto sia ardua, egli vi seguirà entusiasta. Il bambino però piange, quando rimane deluso. Piange più volte il piccolo principe. E più volte Francesco avverte che le lacrime talora sono necessarie, giuste, e devono sgorgare: le lacrime ci avvicinano al mistero della croce (del dolore, della morte) e, senza piangere, mai ne potremo penetrare il mistero. Il bambino Saint-Exupéry, dal cuore della guerra più devastante, e il bambino Bergoglio, dal cuore del secolo che sta dimenticando il cuore e mette il bavaglio ai bambini (in tanti modi, reali non facendoli nascere, metaforici ammazzando i sogni), si incontrano con una facilità disarmante. Diversi, remoti, eppure alleati, schierati entrambi dalla parte delle ragioni dell’anima e del bambino che la abita e chiede solo di uscire, bere un sorso d’acqua e far fiorire il deserto.
È in uscita giovedì prossimo, 11 maggio, una nuova edizione de “Il Piccolo Principe” (Àncora, pagine 176, euro 17), il celeberrimo testo dello scrittore e aviatore francese Antoine de Saint-Exupéry, che ritorna sugli scaffali delle librerie commentato con testi di papa Francesco tratti da omelie e discorsi. Si tratta di messaggi e interventi del Pontefice raccolti durante viaggi apostolici, celebrazioni eucaristiche, udienze generali in cui papa Francesco parla della centralità nella vita umana della quotidiana riscoperta del bambino che è in ciascuno di noi. Il bambino che ancora respira e vive da qualche parte della nostra anima. Anticipiamo in queste colonne la prefazione di Umberto Folena, giornalista di “Avvenire”, curatore del volume.