«Dobbiamo avere paura?». «Perché c’è così tanto odio nei confronti dei cristiani?». «Ma noi cristiani cosa abbiamo fatto di male per scatenare così tanto disprezzo?». Sono alcune delle domande che la gente comune, in Italia e nel resto d’Europa, si pone da quando le televisioni di mezzo mondo hanno messo in onda le immagini delle decapitazioni perpetrate dagli estremisti islamici, sia in Medio Oriente che in Africa. Devo confessare che la stragrande maggioranza delle persone con le quali ho avuto modo d’interloquire ha davvero le idee molto confuse. Da una parte vi sono coloro che vivono nel panico per il rischio di attentati, mentre dall’altra s’infittisce la legione dei nuovi crociati pronti a difendere il vessillo della cristianità, con le armi in pugno, proprio come ai tempi della liberazione del Santo Sepolcro. Ciò è dovuto, perlopiú, alla contaminazione di una cultura pressappochista, alimentata dal circuito massmediatico, col risultato che si sta generando una pericolosissima sindrome; un posizionamento dell’anima che certamente non solo non giova alla causa delle vittime di ingiustizie e di sopraffazioni, ma nemmeno alla consapevolezza del bene comune nella sua accezione planetaria. È vero: stiamo attraversando da alcuni anni una crisi sistemica, che non riguarda solo i mercati finanziari, ma anche la persona umana depositaria di diritti e doveri, per cui si è arrivati a commettere le peggiori nefandezze, invocando addirittura a sproposito il nome di Dio. D’altronde, mai come oggi, è importante sottolineare che il fanatismo va combattuto contrastando l’ignoranza e soprattutto, affermando l’interdipendenza dei popoli e l’esigenza di un’informazione capace di accrescere la consapevolezza. Evitando quindi di cadere nella trappola della soperchieria, studiata ad arte, per esempio, dalle formazioni jihadiste, nonché da altri potentati occulti. Le persecuzioni, in particolare i loro retroscena, hanno sempre costituito per gli storici una materia difficile da comporre. Per affrontare correttamente un fenomeno complesso occorre conoscerlo nei dettagli e non solo come semplice analisi delle parti, perché il risultato finale non è la sommatoria delle componenti. Ciò significa, in sostanza, guardando alla questione delle persecuzioni in senso lato, che queste, se opportunamente valutate, non possono prescindere dalle cause e concause che oggi le generano, sia nei Paesi dove sono in atto (ideologie dominanti, politiche perverse…), sia nel contesto più generale della globalizzazione, al cui interno certe dinamiche trovano terreno fertile. Tutti questi fattori interagiscono rendendo la matassa intricata. Per tali motivi occorre operare un sano discernimento sulle scelte da praticare, se vogliamo davvero segnare la svolta, quella del riscatto, dell’affermazione dei diritti e dunque dell’agognato cambiamento. Questo indirizzo potrà sembrare a molti l’azzardo dell’utopia, soprattutto in una stagione in cui il pessimismo e le fosche previsioni sembrano indurre all’arrendevolezza. D’altronde, l’incertezza del sapere come stanno davvero le cose non è diversa dalla sicurezza di chi ostenta ignoranza. Dunque, tentare di vincere il pregiudizio non nuoce ad alcuno. Anzi, è davvero auspicabile. Come scriveva sant’Agostino, «le parole non sono state inventate perché gli uomini s’ingannino tra loro ma perché ciascuno passi all’altro la bontà dei propri pensieri».
© RIPRODUZIONE RISERVATA L’urgenza di agire per fermare le uccisioni e le discriminazioni dei cristiani nel mondo non deve prescindere dall’analisi delle dinamiche religiose, politiche, economiche e antropologiche che attraversano questo difficile momento storico