Libera casa in libero Stato. «Perché disporre di un luogo in cui abitare - di un "indirizzo"- è alla base del vivere civile, e senza questo c’è emarginazione». Il messaggio giunge in modo argomentato da Marco Romano, urbanista, docente di Estetica della città col suo recente volume
Liberi di costruire (Bollati Boringhieri, 172 pagine, 15,00 euro).
Professor Romano, il titolo del suo volume suona deliberatamente provocatorio e riecheggia lo slogan di Milton Friedman, il guru del liberismo economico, «Liberi di scegliere»...Non nego un influsso del pensiero liberale, ma faccio riferimento piuttosto a Karl Popper e alla sua critica al totalitarismo, vale a dire un regime dove un’élite è convinta di conoscere in esclusiva in che cosa consista il bene di tutti. Un’idea che la cultura dei regimi comunisti ha fatto propria nei decenni passati ma che tuttora persiste, nell’ambito delle costruzioni e della gestione del territorio, nella tendenza all’eccesso della regolamentazione: mi riferisco all’eccesso, non alla regola, che ovviamente deve esistere.
Qual è quindi la regola accettabile?Non quella del piano regolatore che stabilisce limiti eccessivi alle cubature e impone aree di inedificabilità. Si arriva agli eccessi di imporre vincoli sulla possibilità di costruire un soppalco in casa propria, o di togliere divisori anche se non hanno rilevanza strutturale... Bisogna ritrovare il buon senso. E ripartire dai temi collettivi: sono questi che innervano gli spazi urbani e ne determinano la qualità estetica. In fondo è semplice: per millenni le città sono state progettate aprendo strade e piazze. Sulle piazze si erigeva la chiesa e quello diventava lo spazio pubblico in cui tutti si possono riconoscere. Pensiamo a Monaco di Baviera, una delle città meglio gestite d’Europa, ove hanno proceduto così: dove le persone volevano andare a costruire le loro villette, il Comune non ha posto divieti bensì aperto strade, progettato alcune piazze, portato l’acqua e lasciato che ognuno costruisse come voleva. E la periferia di Monaco è cresciuta come ambiente di alta qualità. Ai responsabili della pianificazione urbana spetta di occuparsi di questi temi collettivi, lasciando ai singoli la responsabilità della loro casa.
Quindi «liberi di costruire» non è un invito di dar briglia sciolta ai palazzinari cementificatori...Ci mancherebbe altro! Ma dove si rispettano alcune direttrici basilari, anche edifici di scarsa qualità diventano accettabili. Un esempio, per sorprendente che possa apparire: in certi tratti la Vigevanese, la strada che da Milano va verso Alessandria, è costeggiata da capannoni. Possiamo vederli come oggetti che deturpano il paesaggio; ma sono anche il frutto della fatica, dell’ingegno e dell’orgoglio di tanti imprenditori. Sono espressione del lavoro: e questo è parte della nobiltà dell’essere umano. Certo, sono costruiti sulla campagna; ma dietro di loro c’è ancora il prato. Quindi si possono intendere non come qualcosa che va contro il paesaggio, bensì come espressione del paesaggio attuale. E sono ben allineati: manifestano un ordine. Sa qual è la differenza tra un
boulevard e una strada di periferia?
Evidente, nel boulevard c’è più spazio e maggior qualità estetica.Il
boulevard sviluppa un tema collettivo importante e nell’alternarsi delle piazze sviluppa un ritmo che dà qualità all’ambiente urbano: questo avviene anche se le facciate delle case di per sé sono ripetitive, proprio come quelle delle periferie. Ma nelle periferie mancano le piazze: non c’è la cesura, la "variazione sul tema" che genera sorpresa e diventa spettacolo. Per questo il
boulevard è bello, mentre la periferia, ossessivamente ripetitiva, sempre uguale e priva di variazione, è sgradevole.
In Italia, pare inutile ricordarlo, c’è però tantissimo abusivismo…Frutto dei piani regolatori che vanamente cercano di arginare il desiderio di chi vuole una casa. Le tante borgate romane nate abusive, poi "sanate", insegnano proprio questo. Oggi a Milano c’è il cosiddetto "Parco Sud": una parte di campagna è stata così ribattezzata e lì non si può costruire. Ma i nuovi immigrati hanno bisogno di una casa e a volte non sanno dove andare. Se potessero avere assegnato un fazzoletto di terra nella vasta estensione del parco - come avviene con i piccoli orti affidati dal Comune a chi li vuole coltivare - e fossero lasciati liberi di costruirsi la propria casa, saprebbero radicarsi e formarsi una famiglia.
Ma potrebbero nascere delle favelas...Attenzione ai pregiudizi.
Favela non è sempre sinonimo di miseria. In quei brani urbani autocostruiti con pezzi di legno e lamiere, la qualità della vita non è scarsa - fatte le debite eccezioni. Marco Zanuso anni addietro ne visitò parecchie e rimase sconcertato: trovò che alcune erano più belle delle nostre periferie. Perché nei nostri palazzoni-dormitorio senza volto le persone vivono isolate e non vi sono luoghi collettivi. In molte
favelas invece i vicoli sono spazi per la vita collettiva, vi sono piazze, la solidarietà è praticata e non si conosce quell’isolamento che è il problema maggiore nelle nostre città.
Quindi la piazza come bene comune, la casa come diritto del cittadino...La casa è il fondamento della libertà. Siamo eredi della tradizione medievale dei Franchi, il cui re era titolare del possesso dei territori e ne affidava a ciascuno una porzione per vivervi. Da questo diritto è discesa anche la libertà di metter su bottega nella propria casa: si è sviluppato l’artigianato, le gilde, e infine la civiltà industriale. Per conseguenza in Europa si è cittadini se si dispone di una casa. La Costituzione italiana riconosce questo diritto e nell’articolo 47 afferma di favorire la proprietà dell’abitazione. Bisogna rinverdire questa tradizione ed estenderla ai nuovi immigrati....