«Rappresentano «la bellezza
che ancora non c’è»: sono le
periferie, secondo Renzo
Piano. Come lo scultore vede
nel blocco di pietra la
statua che vi caverà, così il
senatore a vita vede luoghi
di possibile rinascita nei lembi di città usualmente
associati all’idea di abbandono.
L’idea cui ha dato vita si chiama
“G124”: la sigla dell’ufficio assegnatogli in
Senato, che ha trasformato in bottega di
progettazione, con carte, grafici e disegni
alle pareti e, nel mezzo, un grande tavolo
rotondo di grezzo compensato. Se le periferie
«sono sempre state abbinate ad aggettivi
denigranti – spiega –renderli luoghi
felici e fecondi è il disegno che ho in
mente. Questa è la sfida dei prossimi decenni:
diventeranno o no parte della
città?».
Lo scopo è “ricucire” il tessuto urbano sfilacciato
ai margini: un grande progetto
composto da micro interventi non solo
di carattere architettonico. Si tratta, insiste
Piano, di «innescare la rigenerazione
anche attraverso mestieri nuovi, microimprese,
start-up, cantieri leggeri e diffusi,
creando così nuova occupazione».
L’opera è partita nel 2014 ed è intesa a ripetersi
per una decina di anni, ogni volta
con gruppi diversi e in luoghi diversi: giovani
architetti, pagati con lo stipendio da
senatore di Piano e coordinati da professionisti
esperti, studiano il quartiere ed elaborano
proposte insieme coi residenti.
Il primo anno tre gruppi hanno lavorato
in alcune zone periferiche di Torino, Roma
e Catania. Nel 2015 altri giovani e altri
esperti si sono dedicati al quartiere del
Giambellino a Milano, dove in diversi isolati
si allineano edifici di tipo popolare
di 3 piani dagli intonaci immancabilmente
scrostati e dall’aria desolata. Costruiti
nel periodo prebellico, sono esemplari
di un certo tipo di gestione della cosa
pubblica: spazi verdi non valorizzati e
decine di appartamenti vuoti perché la
loro superficie è inferiore ai 28 metri quadrati,
il minimo perché in Lombardia un
alloggio sia classificato “abitabile”. «Una situazione
paradossale – spiega
Ottavio di
Blasi, che ha coordinato il team insieme
con Marco Ermentini – fondata su una
regola anacronistica. Vi sono tanti giovani,
divorziati, immigrati che potrebbero
vivervi benissimo. Per giunta i muri sono
in mattoni pieni, spessi e solidi. Basta poco
per renderli efficienti sul piano energetico». I progetti elaborati dal team di
R
“architetti condotti”, come amano chiamarsi,
prevedono sistemi di ristrutturazione
a costi minimi. Ma l’attenzione è
focalizzata in primis sugli spazi pubblici,
e si fonda sul coinvolgimento della gente.
«Come è già stato fatto a Torino, Roma
e Catania, anzitutto ci siamo messi in ascolto:
dei bisogni e delle proposte di chi
abita il quartiere – riferisce Di Blasi – qualcosa
che non insegnano nei corsi di laurea,
ma che è fondamentale. L’architetto
è chiamato a compiere un servizio per le
persone, non a presentarsi come artista
che configura spazi secondo il suo estro».
E così ovunque sono intervenuti, i gruppi
del G124 hanno dialogato, annusato
l’atmosfera, osservato lacerti urbani che
a un’occhiata distratta sembrerebbero
da rottamare. E invece sono ricchi di potenzialità:
perché non sono bloccati nell’inamovibilità
delle zone monumentali
da conservare come reliquia del passato.
Come sostiene
Franco Lorenzoni,
maestro elementare che a Roma amava
portare i suoi allievi borgatari a visitare i
pregi artistici del centro storico: ai ragazzini
di periferia l’idea di vivere nel centro
pareva un incubo, perché, come disse
uno di loro: «Ci sono palazzi vecchi e
brutti, con strade strette in cui non c’è
spazio per giocare». Mentre in borgata si
può correre nei prati incolti e lungo le rive
del Tevere, dove tra orti e discariche abusive
c’è un mondo tutto da scoprire,
immaginare e costruire. Sta qui la ricchezza
della periferia: nella sua dinamicità,
nella sua disponibilità al cambiamento.
E anche gli adulti che la abitano,
stimolati dal ragazzi del G124 presto scoprono
il gusto di appropriarsi spazi che
non sono musei da esibire a turisti distratti
in vena di selfie. È proprio questo
il processo che l’iniziativa lanciata da Piano
ha messo in moto. Ovunque si sono
individuati luoghi ove tracciare nuovi
percorsi ciclopedonali e spiazzi atti a far
crescere piante e amicizie.
A Roma nel Municipio III, quello che fu
costruito decenni fa come viadotto per
trasporti urbani ma fu subito abbandonato,
è stato rivisitato dal gruppo coordinato
da Massimo Alvisi come nuovo viale
dove passare a piedi o in bicicletta – la
nuova regina dei trasporti urbani sostenibili
e a "misura d’uomo" – e come copertura
sotto cui sono disposti container
ripitturati, risistemati, riadattati per giochi,
esposizioni, incontri. E nuove pavimentazioni
di materiali riciclati hanno aperto
nuove pubbliche piazze.
A Torino il gruppo coordinato da Maurizio
Milan ha rivitalizzato il quartiere di
Borgata Vittoria «con piccole strutture in
legno, oggetti di recupero, tessuti, per pannelli
informativi che disegnano un percorso
con luoghi di ritrovo», un’opera che
ha visto tra i protagonisti don
Angelo Zucchi,
parroco e direttore del locale plesso
scolastico, eletto a elemento baricentrico
dell’intervento.
A Catania nel quartiere Librino, che doveva
esser una “new Town” ma è rimasto
privo di servizi e di un concetto di spazi
pubblici, il gruppo coordinato da Mario
Cucinella a lavorato con alcuni appassionati
del luogo per «insegnare l’arte dello
sport, della lealtà, dell’amicizia» e ritrovare
luoghi dove passare e altri luoghi dove
restare: orti, porticati, frutteti, aree per
barbecue all’aperto, spazi verdi...
Come dice Renzo Piano: «Si tratta solo di
scintille, che però stimolano l’orgoglio di
chi ci vive. Perché, come scriveva Italo Calvino
“ci sono framnenti di città felici che
continuamente prendono forma e svaniscono,
nascoste nelle città infelici”. Questi
frammenti vanno scovati e valorizzati.
Ci vuole l’amore, fosse pure sotto forma
di rabbia. Ci vuole l’identità, ci vuole
l’orgoglio della periferia».