L’incontro fra Papa Francesco e il pastore pentecostale Giovanni Traettino dei giorni scorsi ha fondamento nell’amicizia delle persone, con un preciso riferimento storico, ed estende l’attuazione del disegno ecumenico del Concilio Vaticano II. Ha radici nella conoscenza e nell’amicizia tra le persone, che agiscono sulla base di comuni valori cristiani, come altre volte avvenuto nel corso del Novecento. Il delegato apostolico in Grecia e Turchia, Angelo Roncalli, ha modo di intessere a Istanbul fili di amicizia duratura con i rappresentanti delle chiese ortodosse, di altre chiese cristiane, anche per aiutare le innumerevoli vittime del secondo conflitto mondiale che sconvolge nazioni e popoli europei, cristiani e no. Paolo VI abbatte nel 1965 il muro delle antiche scomuniche tra Roma e Costantinopoli, e avvia la consuetudine dell’amicizia con il Patriarca di Costantinopoli, mentre Benedetto XVI rivolge parole riconoscenti per l’intensa fede religiosa dei suoi amici protestanti tedeschi, e Giovanni Paolo II apre le porte ad Assisi e in Vaticano ai cristiani di tutto il mondo, parlando, incoraggiando, usando parole critiche per le pagine meno belle della storia dei cristiani e dei cattolici. Papa Francesco, movendo dall’amicizia con un pastore evangelico conosciuto a Buenos Aires, abbatte un altro muro, si reca per la prima volta in una comunità pentecostale, parte della galassia evangelica diffusa nel mondo, in specie nelle Americhe e in Africa, che fonda la propria identità nell’opera salvifica perenne dello Spirito Santo, pur coltivando polemiche verso altre Chiese cristiane. Il gesto di Francesco ha un fondamento storico, che forse pochi conoscono, perché affonda le radici negli anni bui del fascismo italiano, in particolare da quando nel 1935 si inasprisce la volontà persecutoria che si rivolge, per la prima volta nella storia unitaria, contro gruppi di cristiani provenienti dagli Stati Uniti, anzitutto i pentecostali. Tre anni dopo, nel 1938, il fascismo vara quelle leggi razziali antiebraiche che costituiscono una macchia di vergogna per un’Italia che veniva da una tradizione particolarmente tollerante, se confrontata con la storia di altri Paesi. Con il fascismo i pentecostali patiscono il carcere, vessazioni d’ogni tipo, per il solo fatto di essere cristiani, e le subiscono con una dignità cui Papa Francesco ha reso onore. Ad avviare le persecuzioni, motivate anche per la provenienza statunitense che alimenta i dubbi sulla fedeltà al regime dei pentecostali, è la Circolare Buffarini- Guidi del 9 maggio 1935, che definisce il culto pentecostale «contrario all’ordine sociale e nocivo dell’integrità fisica e psichica della razza»; e descrive i suoi fedeli con toni sprezzanti, perché «assumono atteggiamenti estatici, si abbandonano a prolungate invocazioni, grida, gesti scomposti di tutta la persona o anche ritmici (donde l’appellativo di 'tremolanti'), con cui gradualmente si suggestionano di ricevere lo Spirito Santo, fino a una morbosa esaltazione psichica allucinatoria »: il regime inibisce il culto a persone di grande sensibilità spiritualità, come Domenico Zaccardi e Fiordisa Laudisa, incarcerate senza alcuna colpa. La Costituzione democratica avvia il processo di legittimazione dei pentecostali i quali conoscono diverse scissioni, mentre la parte più cospicua si unisce nel dopoguerra nelle Adi (Assemblee di Dio in Italia) che, con la figura di maggior prestigio, il pastore Francesco Toppi, stipula l’Intesa con lo Stato italiano nel 1986. Oltre le Adi, gruppi e comunità pentecostali autonome, tra cui quella guidata da Sergio Crocetti, agiscono in Italia proclamando la fede nella nuova nascita, nello Spirito Santo, con diversi gradi di rigorismo etico nella vita personale e collettiva. Ma il gesto del Papa ha particolare valore ecumenico perché si rivolge alle comunità pentecostali di tutto il mondo, che costituiscono, forse la terza grande aggregazione cristiana (dopo la cattolica e la protestante classica), in espansione in Africa e un po’ dovunque, e con le quali i rapporti sono meno facili che con gli altri. I pentecostali non hanno una struttura unitaria, vivono in gruppi e comunità libere, e verso di loro, con le sue parole sulla «Chiesa unita nelle diversità», Papa Francesco ha portato un riconoscimento non scontato, ricordando la forza della fede in Gesù e nell’opera rinnovatrice dello Spirito Santo che caratterizza il loro culto, ed è patrimonio comune dei cristiani di tutto il mondo. Siamo di fronte a un frutto della globalizzazione religiosa, e della sensibilità del Papa che vede la fede cristiana in forte espansione ovunque, pur se perseguitata, e si esprime in comunità e correnti, che vivono un retaggio storico di diffidenze e di contrasti. Francesco getta un ponte verso la galassia pentecostale, invita a superare le diffidenze, riconosce l’esistenza delle diversità: se si va in questa direzione si può affrontare una fase storica nella quale, pur tra difficoltà e ostacoli, le grandi famiglie spirituali del cristianesimo possono avvicinarsi, stimarsi, lavorare insieme, mettere al centro dell’azione il nome di Gesù e la sua opera salvifica.