Ricorrono, quest’anno 2016, trent’anni dalla morte del cardinale Michele Pellegrino (1903-1986) e quarantacinque anni dalla pubblicazione della sua lettera pastorale
Camminare insieme (8 dicembre 1971), uno dei frutti pastoralmente più efficaci dell’applicazione del Concilio Vaticano II.Un’importante sezione degli scritti raccolti in
Dire il Concilio. Testi inediti (Effatà, pp. 256, euro 18) ha l’opportuno titolo: 'Un Concilio per l’uomo', l’uomo ascoltato nel mistero della propria individua esperienza; ricorda subito Pellegrino uno dei passi più ispirati della
Gaudium et Spes: «Ciascun uomo rimane ai suoi propri occhi un problema insoluto, confusamente percepito. Nessuno, infatti, in certe ore e particolarmente in occasione dei grandi avvenimenti della vita può evitare totalmente quel tipo di interrogativi sopra ricordato. A questi problemi soltanto Dio dà una risposta piena e certa, lui che chiama l’uomo a una riflessione più profonda e a una ricerca più umile» (21d). È il «
te tandem tibi restitue », l’anelito agostiniano del
Secretum del Petrarca, ma anche un’attenzione più autentica all’ 'opera dell’uomo' e non soltanto a ciò che di esso dice la teologia dogmatica. Sintomatico (e a tratti esemplare) il modo, tutto terreno, col quale la
Gaudium et Spes pensa ai rapporti con coloro che si professano atei: «Quanto agli atei, essa (la Chiesa) li invita cortesemente a volere prendere in considerazione il Vangelo di Cristo con animo aperto» (ivi, 21); cortesia, virtù delle «buone maniere», «virtù piccola», secondo il bel
Trattato di Giovan Battista Roberti (1719-1786), ma essenziale al vivere in società. Di questo mondo, il Concilio e il pensiero di Michele Pellegrino ascoltano finalmente la voce e non di rado le parole della letteratura sono citate come più efficaci (non diversamente papa Francesco nella sua prima intervista ad Antonio Spadaro) che i trattati apologetici. Un lungo passo di Dino Buzzati, sul fuggire del tempo, è citato da padre Pellegrino: «E non serve aggrapparsi alle pietre, resistere in cima a qualche scoglio, le dita stanche si aprono, le braccia si afflosciano inerti, si è trascinati ancora nel fiume, che pare lento ma non si ferma mai» (da
Il deserto dei tartari). Ecco, ciò che l’uomo ha pensato dell’uomo entra nella meditazione dell’eredità del Concilio, e la vita stessa degli Evangeli è definita con le parole di Anna Ackmatova, nella «possente vecchiezza del Vangelo». Da un celebre libro di Charles Moeller (
Il silenzio di Dio, trad. it. 1961) vengono le definizioni più parenetiche sulla presenza stessa di Dio nel cuore dell’uomo; così citando Julien Green: «Se io dovessi partire questa sera e mi si chiedesse che cosa mi commuove di più al mondo, direi forse che è il passaggio di Dio nel cuore degli uomini».Non solo dunque l’uomo sa parlare dell’uomo, ma sa anche parlare di Dio; direi che una delle correnti profonde dell’eredità del Concilio (da Paolo VI a Michele Pellegrino a Carlo Maria Martini) è proprio la rinnovata capacità di ritrovare le parole dell’uomo 'capaci di Dio', sino alla chiosa di Bernanos che tutto compendia rispetto alle pratiche, alle norme, ai riti: «Nessun rito dispensa dall’amore» (
Jeanne, relapse et sainte, 1929 e 1957). Accanto a questa rinata attenzione all’uomo è la remissione fidente allo Spirito santo, al suo tempo luminoso e ultimo, intimo e fervido di grazia e d’abbandono. Nelle Lettere a suor Paola Maria, fondatrice del Carmelo di Montiglio (edite sempre da
Effatà nel 2014) questo aprirsi all’azione dello Spirito è premessa e dono essenziale: «Il suo piccolo 'sì' consentirà allo Spirito di operare in Lei e, attraverso la comunione che lo Spirito suscita e promuove, nella Chiesa» (lettera del 9.V.1973). Si vede qui affiorare tutta la sintonia con l’amico Oscar Cullmann, nel suo Cristo e il tempo, la coscienza che la Redenzione è in cammino verso una più aperta manifestazione irrorata dallo Spirito. Lo Spirito Santo è la traccia costante di questa direzione spirituale, e di ogni presenza divina: «Quando ciò le costa, vuol dire che l’azione purificatrice dello Spirito santo, '
tui amoris … ignis', si esercita con maggiore efficacia, per eliminare anche le ultime resistenze alla grazia» (lettera del 14.VI. 1971). Non era d’altra parte, Padre Pellegrino, un pastore che pretendesse dalla Parola incarnata il «senso definitivo» della storia, in quella «fretta di compimento» che ha fiaccato e disperso tante energie nate dall’entusiasmo seguito a Concilio. Era uomo che viveva nel «tempo lungo » della Parusia, che non esitava a scrivere: «Non c’è bisogno di porsi dei problemi. L’unione con Lui, la dedizione ai fratelli, l’apertura semplice e spontanea l’aiuteranno a dare, ogni momento, la risposta che Egli attende. Il 'segno'? Forse il Signore non vuole che vediamo troppo chiaro. Vuole che viviamo di fede» (lettera del 10.XI.1974).Di fede dunque e di Spirito: questa la Chiesa che Pellegrino delineava davanti a sé e nella sua azione pastorale: reagì con determinata semplicità a quella che egli stesso definì la «crisi del paternalismo », che implicava ormai un esercizio diverso della funzione sacerdotale (
Il senso di frustrazione del sacerdote di fronte al mondo odierno, 1969). Si potrebbe osservare che di fronte a quelle meditazioni, sulla secolarizzazione, sull’incertezza del credere, nulla sia mutato nei 50 anni trascorsi, e che anzi si siano aggravate le distorsioni sociali in nome delle quali Pellegrino richiamava severamente l’Apostolicam
actuositatem, 8): «Siano anzitutto adempiuti gli obblighi di giustizia, perché non avvenga che si offra come dono di carità ciò che è già dovuto a titolo di giustizia» (
Un Concilio per l’uomo, conferenza tenuta alla 'Pro Cultura femminile', Torino, il 18.X.1967).Non si deve trarre da questi passi l’impressione di un Pellegrino
iustus iudex ; al contrario egli fu persona e pastore mite, uomo del quotidiano, come Charles de Foucauld, di cui ricorre tra poco il centenario della morte, attento ai poveri e al silenzio inerme che emana da Betlemme: «Mi pare così bello camminare nella semplicità e nel silenzio, come c’insegna Gesù a Betlemme! ».Nient’altro, ogni giorno, che «umile e serena pazienza e carità».