Nell’estate del 1968 il segretario del Pci, Luigi Longo, ebbe uno scontro frontale con i sovietici, rimasto finora ignoto nei suoi retroscena più clamorosi e drammatici, a proposito dell’invasione della Cecoslovacchia da parte delle truppe dei Paesi del Patto di Varsavia. Il partito comunista stesso, forse per stemperare la violenza del suo primo «strappo » dall’Urss con l’aperta condanna dell’intervento militare, tacque sui gravi intrighi architettati dai russi per ricondurre Longo alla tradizionale linea filosovietica. Così il clima di veleni e di complotti di cui fu vittima il leader del Pci è rimasto occultato: e solo ora viene alla luce, grazie alle testimonianze dei familiari dello stesso segretario comunista, i quali hanno deciso di abbandonare la linea di riserbo che si sono imposti per quasi mezzo secolo. Che cosa accadde, in estrema sintesi, nelle lunghe settimane di travaglio che precedettero la repressione della Primavera di Praga? Per prima cosa, i russi ricorsero a pressioni al limite del ricatto per vincere la riluttanza di Longo a recarsi a Mosca, onde essere costretto a recitare la parte in commedia che il copione sovietico intendeva affibbiargli: ossia il ruolo del capo del partito comunista più forte dell’Occidente che, disciplinatamente, va ad ascoltare le ragioni dell’opzione militare. Per ottenere lo scopo, i russi compirono una manovra disgustosa: strumentalizzarono gli affetti più cari di Longo, inducendo la nuora, che in quanto cittadina sovietica era in una posizione di oggettiva debolezza, a collaborare con loro per «convincere» il suocero a desistere dalla sua linea di resistenza e di fermezza. Longo accettò quindi di volare in Urss alla vigilia di Ferragosto, dietro garanzia che gli sarebbero stati fissati incontri con i vertici dello Stato e del Pcus, il partito bolscevico. Invece, una volta condotto in una dacia, il segretario del Pci venne praticamente isolato: niente colloqui politici con i dirigenti sovietici. Con un’ultima beffa finale: essere tenuto completamente all’oscuro dell’imminente invasione. Così Longo, la mattina del 21 agosto 1968, apprese la notizia della «catastrofe» da una fonte non interna: probabilmente ricevette le prime informazioni attraverso il 'ponte' telefonico con Botteghe Oscure. Livido di rabbia, dettò la linea ai dirigenti del partito rimasti a Roma e s’imbarcò sul primo volo per l’Italia. Il seguito è noto: nei giorni successivi la direzione del Pci, presieduta dallo stesso Longo, pronunciò parole di severa condanna dell’intervento. Fu il primo, solenne atto di autonomia del Pci da Mosca; basti ricordare che 12 anni prima, in occasione della rivolta di Budapest, Togliatti aveva approvato l’invasione dei carri armati sovietici. Luigi Longo aveva speso tutto il suo prestigio per sostenere la stagione liberalizzatrice della «Primavera di Praga», che aveva il suo simbolo in Alexander Dubcek. Nel maggio di quello stesso ’68 si era recato nella capitale cecoslovacca, per portare la solidarietà dei comunisti italiani all’esperimento in corso nel Paese mitteleuropeo. Il segretario del Pci, in privato, considerava quel laboratorio come l’estrema possibilità di autoriforma dei sistemi del socialismo reale, e sperava in cuor suo che il successo di Dubcek avrebbe schiuso la porta ad altri, analoghi tentativi nel resto dell’Europa dell’Est, a cominciare dalla Polonia, dall’Ungheria e dalla stessa Urss. Attorno al 10 luglio Longo ascoltò, dalla voce dell’ambasciatore russo a Roma Nikita Ryžov il testo di una «lettera circolare» che il Politburo del Pcus inviò alla propria rete diplomatica perché fosse inoltrata ai capi dei partiti comunisti nazionali. Da quel documento – che gli fu letto e non consegnato – il leader del Pci comprese che l’Urss avrebbe imboccato la strada senza ritorno della soluzione militare: decise quindi di mettersi di traverso con tutti i mezzi di cui disponeva. Per prima cosa cancellò per protesta il suo consueto viaggio di riposo in Unione Sovietica, già in calendario dall’anno precedente, per non apparire neanche lontanamente colluso con i 'compagni' moscoviti. Egidio Longo, ultimogenito del capo storico del Pci, così ricostruisce i passaggi politicamente torridi di quei giorni: «Fino ai primi di luglio di quel 1968 la situazione appariva tranquilla. Ma, verso la metà del mese, la vacanza venne annullata, a causa – mi fu detto – di sopravvenute difficoltà politiche di ordine internazionale. Credo che questo cambio di programma fosse dovuto a una comunicazione (ritrovata qualche anno fa negli archivi di Mosca), datata 9 luglio e diretta agli organi di direzione del Pci, in cui i sovietici lasciavano trasparire le loro intenzioni riguardo alla situazione cecoslovacca. In pratica, preannunciavano un loro intervento militare». «Ciò indusse mio padre a sospendere il viaggio previsto. I miei genitori me lo comunicarono e io cercai un’alternativa per le vacanze estive: decisi di partire per Londra con amici. Lasciai l’Italia il 3 o il 4 agosto. Nella capitale britannica il 9 agosto ricevetti una lettera in cui mia madre mi informava che si era ripresentata la possibilità di partire per Mosca. Mi annunciò che sarebbe stato un breve periodo di riposo, salvo forse per una 'puntatina' da fare a Jalta, luogo di abituale soggiorno estivo della leadership sovietica, per qualche colloquio politico». Come vedremo in un successivo articolo, quel drammatico viaggio in Urss fu fonte di accresciute tensioni tra il Pci e i russi. I documenti degli archivi moscoviti, scoperti e pubblicati nel 2008 da Victor Zaslavsky, illustrano come meglio non si potrebbe che i sovietici dopo lo «strappo» ricorsero a tutte le possibili armi di pressione, ivi compresa la leva dei finanziamenti occulti, per ricondurre il Pci all’ortodossia. Finché Longo fu segretario, i fondi destinati ai comunisti italiani rimasero congelati sulla cifra di 3,7 milioni di dollari, mentre la frazione socialista di sinistra dello Psiup, che aveva approvato l’invasione della Cecoslovacchia, ricevette 700 mila dollari annui fino alla sua scomparsa dalla scena politica. Sebbene le carte, com’è ovvio, non lo attestino esplicitamente, al Cremlino si pensò anche di puntare sulla sostituzione di Longo alla guida di Botteghe Oscure, complice il fatto che il leader era ormai anziano e per di più malato dopo l’ictus che lo invalidò. Dai dossier sovietici emerge, ad esempio, che lo sforzo di osservazione compiuto sul Pci aumentò, dagli ultimi mesi del 1968, allo scopo di valutare quanto pesasse la corrente contraria allo «strappo ». La rete del Kgb in Italia ricevette da fonti polacche e trasmise ai vertici dell’Urss informazioni riguardanti la reale estensione delle posizioni filorusse dentro il partito italiano. Ne emerse la scollatura tra il gruppo dirigente, allineato per intero con il segretario, e la base dei militanti, dove si registravano – specie in Piemonte, Lombardia, Emilia e Toscana – posizioni pro-sovietiche con punte del 70-80%. Si legge nel citato rapporto, datato 27 dicembre 1968: «Secondo i dati forniti agli amici polacchi dal Segretariato del Pci, fino al 1° ottobre 1968 il Comitato centrale ha ricevuto dagli iscritti circa 24 mila lettere di protesta contro la posizione della direzione del partito, contro la linea dell’Unitànella presentazione della situazione cecoslovacca e contro l’indebolimento della propaganda antimperialista nella stampa del partito. Allo stesso tempo, il numero dei lettori abituali dell’Unitàsi è ridotto di circa il 15%». Aspre critiche suscitava a Mosca l’atteggiamento della stampa comunista italiana. Il 28 ottobre 1968 il Politburo del Comitato centrale del Pcus inviò all’ambasciatore sovietico a Roma una lunga nota, da trasmettere a Longo, nella quale si stigmatizzava «l’approccio unilaterale» degli organi di informazione di partito ai fatti di Cecoslovacchia. Obiettivo degli strali era anche l’autorevole slavista Vittorio Strada, «noto per i suoi affondo ostili all’indirizzo dell’Urss», al quale era stato addirittura consentito di «pubblicizzare i romanzi antisovietici di Solženicyn» sul periodico ufficiale del Pci,
Rinascita.