Le aggravanti sentimentali di Antonio Pascale è un libro già implicito nel precedente che, appunto, s’intitolava
Le attenuanti sentimentali (2013). Un libro gemello: e sicuramente monozigote. Pensare alla felicità, da un certo punto di vista (ma sarebbe possibile sostenere, con lo stesso successo, il contrario), può essere un’attenuante sentimentale, se lo si fa da molto giovani, mentre diventa un’aggravante, se ciò avviene a 49 anni, quanto accade a chi qui dice “io” e che, più o meno, dobbiamo identificare con lo stesso scrittore, sulla scorta d’un riferimento tempestivo alla
Città distratta( 2001), suo libro d’esordio. Siamo a Roma al Gianicolo, su una panchina di fianco alla statua di Garibaldi, in un giorno d’estate: è lì che Antonio (o la sua controfigura letteraria), mentre almanacca su di sé e sul mondo, aspetta con largo anticipo i suoi amici. Può perdere tempo e occuparsi soltanto di sé: la famiglia «è appena partita per il mare». Il che, per uno scrittore di sottile ironia come Pascale, autorizza subito a pensare, non senza qualche ragione, a tutta una tradizione, soprattutto cinematografica, del genere «quando la moglie è in vacanza». Ma per capire subito che libro ci aspetti, basterà un accenno a quel gruppo di amici, i quali si stanno incontrando per festeggiare gli ottantacinque anni di Ugo d’Amico, «un vecchio e bravo regista, molto noto tra i cinefili e gli appassionati di video arte». A cominciare da Giacomo: «passato, nel giro di pochi giorni, da promettente filmmaker a nullafacente». Arrivando a Paola, la produttrice: una che, però, si sente già vecchia a 35 anni. Per finire con Luigi Piccirillo: «Lui sì che è felice. È bello e piace. Veste con poco ma si vede che è un artista». A ogni modo: attenuanti o aggravanti, Pascale – qui particolarmente concentrato sul grande problema filosofico del rapporto tra determinismo e libero arbitrio – prosegue il suo consueto impegno di notomizzatore dei sentimenti in vista di chissà quale dottrina, con quella spiccata vocazione alla scienza, così rara in Italia, che lo contrappose – in un dibattito memorabile di qualche anno fa sui pomodori – a Pietro Citati, il quale finì per fare la figura dell’umanista retorico, da educandato. Nessuno, come Pascale, sa tradurre la filosofia nei termini d’una prosa quotidiana del vivere: può parlare di tutto – del meraviglioso fondoschiena d’una donna, del traffico di Roma, della grazia – e convocare, senza nessuna forzatura, Joseph de Maistre, Simone Weil o Tolstoj. Si sarà notato che non ho mai pronunciato la parola romanzo. I libri di Pascale sono narrazioni spurie e poco o nulla hanno a che fare con la prosa da fiction. Questa evidenza diventa qui una consapevolezza ostentata e ragionata sin dall’inizio, con inserti metaletterari non rari. Ma sempre entro un’attitudine che, nel protagonista, ha esiti di esilarante socratismo, come quando, già all’inizio, all’amico Luigi che lo invita a fare il suo mestiere, e cioè raccontare storie, opporrà idee assai chiare: 'Scrivi una storia, uffa, dovunque ti giri c’è ’na storia'. Ecco: basta con le storie. Pascale lo sa: c’è qualcosa di più avvincente del racconto delle idee, nel mentre germinano e sorvolano la nostra trista, comica, affannata quotidianità?
© RIPRODUZIONE RISERVATA Antonio Pascale
LE AGGRAVANTI SENTIMENTALI Einaudi Pagine 188. Euro 18,50 Anche nel nuovo “Le aggravanti sentimentali” lo scrittore parla di tutto convocando, senza nessuna forzatura, De Maistre, Simone Weil o Tolstoj