Un Giano bifronte. Per spiegare l’inadeguatezza della scuola nel fornire agli studenti le necessarie competenze di scrittura e di comprensione dell’italiano, il linguista Luca Serianni evoca la figura mitologica di Giano: «Su una faccia c’è l’italiano letterario che si studia nei testi dei grandi scrittori, l’italiano creativo, per intenderci; sull’altra c’è quello argomentativo che si richiede nelle prove scritte scolastiche». Se poi aggiungiamo l’italiano parlato, l’italiano della lingua digitale, quello dei dibattiti in tv e quello dei giornali; quello dei bugiardini dei medicinali e quello dei testi legislativi ecco che ben si comprende a quale grado di babele linguistica sia giunto il nostro Paese e, al contempo, quali siano le difficoltà, sempre più marcate, in cui si dibatte la scuola chiamata a fornire agli studenti le giuste competenze per scrivere, leggere e capire qualsiasi tipo di testo. È questo il tema che si pone alla base del convegno che si tiene giovedì 6 marzo a Roma presso l’Auditorium Antonianum (ingresso libero ma con iscrizione obbligatoria sul sito www.pearson. it/convegno-italiano): 'La forza delle parole. Le competenze linguistiche del XXI secolo'. Incontro moderato da Stefano Bartezzaghi e che prevede le relazioni di Serianni, Tullio De Mauro, Monica Barni e Alessandro Perissinotto. A organizzarlo è la casa editrice Pearson, specializzata in testi scolastici, che nell’occasione presenterà il suo 'Progetto per l’italiano' con l’idea di fornire ai docenti sia una proposta didattica e metodologica nuova, sia un supporto digitale con attività per l’insegnamento e l’apprendimento personalizzato. Non bastano, dicevamo, i due volti di Giano, e forse nemmeno le nove teste dell’Idra. Quel che però la scuola deve comprendere, stando a tutti i relatori, è che per far fronte al crescente numero di studenti che non possiede le competenze linguistiche di base, per dirla con Serianni, «l’insegnamento tradizionale fondato sulle regole grammaticali teoriche è diventato obsoleto.
Non serve, per esempio, impiegare ore di scuola per spiegare la differenza fra il complemento di agente e il complemento di causa esistente (serve solo per il latino e le grammatiche francese e spagnola non la contemplano). È molto più utile concentrarsi sugli aspetti lessicali e semantici. «Tutti noi vediamo quanto sia povero il lessico nelle comunicazioni quotidiane. Allo stesso tempo è necessario che gli studenti siano edotti alla scrittura argomentativa attraverso la lettura e la comprensione della struttura di buoni articoli di giornale o della migliore saggistica del ’900: per esempio penso a Benedetto Croce. A queste competenze si arriva per gradi e un esercizio essenziale, la cui pratica viene sottovalutata nelle scuole superiori, è il riassunto. Non c’è nulla di più efficace per attivare il corretto circuito di comprensione del testo, educazione alla sintesi, verifica della padronanza linguistica ». Anche il linguista Tullio De Mauro evidenzia la necessità di concentrarsi sul significato e sull’uso delle parole, perché «senza questa conoscenza troppa parte dell’informazione che ci è necessaria per vivere oggi rimane opaca o compresa in modo distorto. Allo stesso tempo, anche se forse non compete a un linguista il doverlo dire, occorre considerare che il dominio delle parole si acquisisce anche attraverso l’e- sperienza di ciò che le parole significano, nei contesti in cui vengono usate. L’esperienza della partecipazione ai vari aspetti della vita sociale è essenziale al possesso delle parole. Non bastano i libri, non basta l’aula, ma bisogna che la scuola (anche il liceo classico) porti gli alunni a organizzare i rapporti con ciò che accade nel mondo reale: quello del lavoro, dell’economia, della tecnica, delle scienze... È attraverso questo aprirsi ragionato e organizzato che troviamo le condizioni per il miglior apprendimento dei vocaboli, dei loro usi e dei loro significati. Senza dimenticare che risulta un ottimo laboratorio, interiore, anche l’esercizio della fantasia attraverso delle buone letture». Di buone letture e competenze lessicali è chiamato a parlare Alessandro Perissinotto, che oltre a essere autore di romanzi è docente di Scrittura creativa e comunicazione digitale a Torino. E quando si parla di scrittura creativa «non possiamo usare gli stessi parametri lessicali utilizzati per i testi argomentativi. I singoli vocaboli usati creativamente non si limitano a dire delle cose secondo il significato che troviamo nel vocabolario, ma forniscono anche 'sensazioni': si potrebbe dire che servono per dare al piatto della narrazione il giusto sapore. Nel contesto della scrittura creativa, lo scrittore deve ben conoscere la grammatica 'normativa' per poterla 'superare' quando risulta necessario per rendere vivo il testo. Già lo faceva Manzoni (pensiamo ai suoi famosi anacoluti) per dare allo scritto il sapore della lingua parlata. «Oggi gli esempi sono molteplici. Pensiamo solo all’uso del 'che' polivalente. Quando presentai il mio primo libro a Elvira Sellerio aveva per titolo L’anno in cui uccisero Rosetta, ma lei per prima cosa lo modificò in L’anno che uccisero Rosetta : la forma è meno corretta, ma il titolo ha guadagnato in efficacia. Ecco, il testo narrativo ha bisogno di accettare la vivacità del linguaggio parlato. La nostra epoca, vede un’accelerazione senza precedenti nei cambiamenti degli usi linguistici, anche in considerazione del fatto che i nuovi mezzi di comunicazione sono più globali, per questo credo che la grammatica debba saper essere normativa senza voltarsi dall’altra parte di fronte alle innovazioni ».