Capitale italiana della cultura Parma lo è per gli anni 2020 e 2021. Ma una piccola grande capitale lo è da sempre, sia per la sua storia e le sue tradizioni, sia per un innato gusto del ben (e bel) vivere. Città nobilmente contadina, orgogliosamente locale e dalla vocazione internazionale, l’accoglienza dei suoi abitanti è calda, come il giallo dei suoi palazzi, ma attenzione a contraddirli: «A Parma – diceva la duchessa Maria Luigia d’Austria, tutt’oggi amatissima – non è difficile vivere, a patto di saper dar ragione all’interlocutore in una discussione a carattere musicale o gastronomico». La monografia del numero 260 di Luoghi dell’Infinito, in edicola con “Avvenire” da martedì 6 aprile, è un invito a scoprire la storia, l’arte, l’eredità della “piccola Atene d'Italia”.
Aprono lo speciale gli editoriali di Giovanni Gazzaneo, coordinatore della rivista, e del vescovo di Parma Enrico Solmi. Alle porte della città ci accoglie Giorgio Torelli, storica firma del giornalismo italiano, e parmigiano doc, che ci accompagna nell’autentico patrimonio di Parma: la sua gente. Lo storico Franco Cardini ripercorre l’intera storia della città, dalla fondazione come colonia romana fino al dopoguerra. L’architetto Pier Carlo Bontempi ci conduce alla scoperta del ricco patrimonio architettonico e urbanistico. Enzo Gibellato ci porta al tempo di Benedetto Antelami, che a cavallo tra il XII e il XIII secolo scolpiva il suo meraviglioso Ciclo dei Mesi, conservato in quel battistero che porta la sua firma. Con Elena Pontiggia entriamo nelle sale della Galleria Nazionale, ospitata nel palazzo della Pilotta: la storica dell’arte sceglie all’interno delle vaste collezioni cinque capolavori, cinque volti femminili da Leonardo a Canova.
Parma è poi musica, con il suo nume tutelare Giuseppe Verdi, raccontato da Andrea Milanesi. Ma la città emiliana, e lo sottolinea Roberto Mussapi, è stata anche una capitale letteraria del Novecento italiano, in particolare grazie alla presenza del poeta Attilio Bertolucci e dell’editore Guanda. Il designer Sergio Buttiglieri ci parla di Guido Canali, l’architetto che negli anni Settanta ha realizzato l’allestimento museale della Galleria Nazionale, tra i più celebrati a livello internazionale. Entriamo poi nell’intimità dello studio del pittore Carlo Mattioli grazie alla testimonianza della nipote Anna. Da ultimo, un’escursione nel territorio, a Fontanellato, per perderci nel labirinto più grande del mondo, ideato dall’editore Franco Maria Ricci. Chiudono la monografia le voci di quattro protagonisti della Parma contemporanea, capitale di fatto, prima ancora che per titolo, della cultura italiana: Enrico Chierici, Claudio Rinaldi, Giulia Miriam Tella, Francesca Velani.
www.luoghidellinfinito.it
PARMA, DOVE ABITA LA BELLEZZA
di Giovanni Gazzaneo
Parma è più di una città. È un sogno. Sbocciato in una terra dove la nebbia imprigiona uomini e cose nei lunghi inverni, e la calura d’estate ammazza il respiro. La Bassa padana è orizzonte per spiriti forti e sognatori. Ho imparato ad amare Parma attraverso gli occhi di Beppe, zio di mia moglie. Contadino dell’Appennino, guardava alla città come a una “meraviglia”, anche se per nulla al mondo avrebbe rinunciato ai suoi verdi orizzonti e alla sua amata terra. Qui la gente mette radici più forti di quelle di una quercia e, se costretta a migrare, il cuore invoca il ritorno e non dimentica la lingua madre, quel dialetto gentile e musicale, ricco di sfumature, che cambia toni e accenti di borgo in borgo lungo la via Francigena.
Parma l’ho conosciuta in lunghe camminate mai paghe: quella meraviglia antica e sempre giovane, così pudica nel farsi scoprire, così discreta nell’offrire i suoi tesori, si concede solo nella fedeltà. Nulla di grandioso, nulla che abbagli. E qui sta il segreto: l’armonia dei luoghi e delle opere, questo suo essere a misura d’uomo che fa sentire a casa lo straniero.
Grazie alla sua storia infinita e al suo essere capitale, prima del ducato e ora della cultura, Parma porta all’eccellenza le caratteristiche più vere dell’Italia di provincia. Come affermava Niccolò Tommaseo: «Uno dei più grandi vantaggi dell’Italia sono le vestigia e le memorie di civiltà fresche e vive non solo nelle città grandi, ma forse più e meglio nei luoghi minori, nei quali l’antica Italia è più da riconoscere che in altri e nei quali agli occhi miei è la più sicura speranza». Parma incarna questa speranza perché ha compreso il valore dei suoi tesori, materiali e immateriali, e ha saputo custodirli per sé e per gli altri, anche grazie al dialogo, non episodico ma sistematico, tra realtà e istituzioni diverse. A partire dalla ricerca del “buono” assoluto che ha portato i suoi prodotti fino ai confini del mondo: così il pramzàn si fa Parmigiano e il parsutt prosciutto… O alla tecnologia d’avanguardia di Dallara nelle corse automobilistiche, da Indy alla Formula E. La speranza è in quel “locale” che non rinnega se stesso a favore di un “globale”, luccicante ma vuoto: qui si promuove l’unicità, si dà dignità al dialetto, si esaltano i sapori senza confonderli, non si ha paura dei tempi lunghi (dalla cura artigianale alla stagionatura dei cibi, dalla riscoperta dei cammini all’ideazione di ciclovie); là, nel non luogo della globalizzazione, le differenze vengono combattute, la lingua si impoverisce e perde sostanza e sfumature, la velocità è l’imperativo, ma è velocità senza meta. Qui identità e cultura, là fluidità e guazzabuglio.
Parma è provincia e capitale insieme, la sua apertura al mondo è inscritta nel suo dna, e in questo aprirsi a nuovi orizzonti non rinuncia a se stessa, ma offre se stessa. Sa che il custode delle tradizioni è la memoria, e non la nostalgia dei bei tempi andati: solo volgendo lo sguardo avanti (e non indietro) la storia diventa promessa di futuro e si fa vita. Questo ci insegna Parma, Capitale della Cultura in uno dei periodi più difficili della storia: si rinasce quando si è capaci di valorizzare quel che si è, a partire dal patrimonio di arti e cultura che riceviamo in dono di generazione in generazione. Non c’è amore senza fedeltà e questo i parmigiani lo sanno, almeno rispetto alla loro storia e alla loro terra. Parma è crocevia vitale di popoli e di eventi, piccoli e grandi. Quando zia Maria, sorella di Beppe, parlava di Maria Luigia la presentava come donna viva, nobile amica con cui sembrava ciciarär (parola che per suono e spessore non può ridursi a “chiacchiera”) mentre le offriva un tè e la sua inarrivabile crostata di prugne.
Ha ragione Giorgio Torelli quando dice che Parma è capitale innanzitutto per la sua gente. Gente che ama la vita tanto da aver fatto del gusto un’arte, la difficile arte di saper coniugare il buono, il vero e il bello: nella città dell’opera regna l’armonia e la stonatura non è ammessa.
Parma è l’amore infinito per la vita e la bellezza, che tutto attraversa e tutto abbraccia. In questo orizzonte fecondo l’Antelami ha trovato ispirazione per plasmare nel segno del “nuovo realismo” le umane figure dei Mesi; Correggio ha voluto aprire le cupole all’infinità del cielo; Verdi ha toccato i vertici dell’opera; il beato cardinal Ferrari ha incarnato come pochi altri le virtù evangeliche…
I parmigiani sono stati capaci di rispondere in maniera concreta e non utopica alla domanda che poneva Fëdor Dostoevskij ne I demoni: «Ma sapete, sapete voi che senza l’inglese l’umanità può ancora vivere, […] può vivere senza la scienza, senza il pane, ma soltanto senza la bellezza non potrebbe più vivere, perché non ci sarebbe nulla da fare al mondo? Tutto il segreto è qui, tutta la storia è qui! La scienza stessa non sussisterebbe un momento senza la bellezza […], diventerebbe una volgarità, e non inventereste più un chiodo». Nel vivere di gusto dei parmensi c’è un’unica, straordinaria ricetta: saper coniugare – con mani, mente e cuore – vita e bellezza.
L’ANIMA DELLA CITTÀ’
La storia, la fede, la gente
di Enrico Solmi*
La città e il territorio sono più della somma aritmetica di chi li abita o delle cose che lì si trovano. Parma ha un’anima che la identifica e che è lievitata nel tempo nell’intreccio tra i caratteri della gente, il territorio e vicende, persone, prove. La scopriamo seguendo un itinerario tra la storia e l’urbanistica della città. Partiamo dal Battistero con la mostra dei Mesi dell’Antelami. Un’armonia pacata è un tratto dell’anima di Parma. I Mesi dell’Antelami ci parlano del desiderio di armonia che è di questa città. Affiora dai volti, dall’insieme del costrutto plastico antelamico l’armonia tra tempo e lavoro nel coltivare il creato. Risalta l’umile nobiltà, quasi una raffinata finezza, nella persona umana, originata dall’impegno verso la terra, l’humus fecondo di nobile dignità. I Mesi narrano il lavoro con immagini non drammatiche – non è più una maledizione, ma collaborazione: è redento, come tutta l’umanità – ma realistiche: si taglia, si pota, si vanga… in un contesto, diremmo in un ecosistema, che porta la terra a collaborare con l’uomo.
Non è un caso che Parma abbia eccellenze prodotte da una terra generosa e ben custodita, frutto di tradizioni antiche, sapientemente innovate. Un’armonia che non disdegna impennate di umore in reazioni emotive, così pure la nobiltà che proviene dal lavoro non impedisce forme di vanto che, se non ostentato, è palesato con compiacenza. Nasce una dialettica non scomposta, segnata da rischi e opportunità per affinare questa anima antica.
Continuiamo il nostro itinerario.
È significativo il patrono della città: sant’Ilario di Poitiers. La legenda lo vede a Parma destinatario di uno squisito atto di umile ospitalità. Un calzolaio lo accoglie infreddolito e gli confeziona un paio di scarpe. Il santo lo ripagherà con una scarpetta d’oro. L’umiltà e l’accoglienza sono nell’anima della città come un patrimonio antico da (anche qui) affinare e far crescere, in un tempo in cui non sono scontate.
Girando nel centro di Parma scopriamo vie strette, i “borghi”. Possono indurre la tendenza a chiudersi, ma proprio da questi borghi Parma è arrivata al mondo. E questo segna la sua anima. Emblematica la figura di san Guido Maria Conforti che nasce nella campagna parmense, si forma nei borghi e arriva agli “estremi confini della terra”, in Cina, con il suo sogno missionario che diventa realtà nella famiglia saveriana da lui fondata. Anche questa è Parma, con rischi e grandi potenzialità per non lasciarsi chiudere in orizzonti abbassati e restare aperti al bene, dinamica ben presente nella storia di Parma.
Eccoci al grande restauro della chiesa di San Francesco del Prato. Un gotico umile e solenne, ardito e armonioso, deturpato dal potere napoleonico che lo trasformò in carcere, viene ridonato al suo primitivo mandato e splendore. Riparare la chiesa di San Francesco consente di prelevare da un tesoro di vita per investirlo nel tempo presente e nel futuro. Una parte dimenticata di Parma tornerà a vivere, il centro storico si estenderà «dalla parte della chiesa di San Francesco», come diceva fra Salimbene, che qui diventò francescano. Non solo si ridisegna il tessuto urbano, ma si attinge alla sua storia che ha segnato l’anima e l’indole della collettività parmigiana. Qui infatti sono passate vicende e personaggi, famiglie del passato – quante sepolture! – che rinvigoriscono il coraggio di confrontarsi con un oggi abitato ancora da tanti che chiedono aiuto e sostegno.
L’ex carcere che tornerà chiesa ricorda alla città la periferia più periferica, qui al centro dell’urbe. Un concentrato di dolore, di male inferto e punito, ma anche di rinascita e di riscatto grazie all’aiuto dei buoni, come la beata Anna Maria Adorni e padre Lino Maupas.
Riparare la chiesa di San Francesco indica una chiara direzione per riscoprire l’anima della città ripartendo dalla gente con al centro le periferie, scelta imprescindibile, unita alla volontà di operare insieme, come avvenne per la sua costruzione. Camminare concordi significa far parlare e ascoltare chi è più fragile, chi vive con apprensione e difficoltà. I giovani, in particolare. È, in senso etimologico, un percorso sinodale sul quale la Chiesa di Parma si è inoltrata, riprendendo un’antica tradizione che costituisce, nei modi e negli esiti, un contributo all’anima della città.