giovedì 29 gennaio 2009
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Il 30 gennaio di quarant’anni fa si spegneva a soli 59 anni, stroncato da una trombosi cerebrale, il do­menicano belga Dominique Pire: apo­stolo dei diseredati e dei rifugiati. L’uo­mo che amava definire – con le stesse parole dell’Abbé Pierre – il suo impe­gno come quello di «essere la voce dei senza voce». Ma padre Pire fu anche il primo sacerdote a vincere il Nobel per la pace – dopo di lui lo riceverà nel 1996 il vescovo salesiano di Timor Est, Carlos Filipe Ximenes Belo –, assegna­togli il 10 dicembre 1958 per il soste­gno offerto ai popoli oppressi del se­condo dopoguerra. In quel frangente il religioso disse, con voce rotta dalla commozione: «Premiate con il Nobel un prete e un bambino, allo stesso tempo». Primo di 7 figli, Georges Pire nacque a Dinant, in Belgio, il 10 feb­braio 1910. Entrò nei domenicani nel 1928 prendendo il nome di Henri Do­minique, in omaggio al grande predi­catore e intellettuale francese Lacor­daire. Dal 1932 al 1936 conseguì il dot­torato in teologia all’Angelicum e in seguito si laureò in sociologia a Lova­nio. Stelle polari della sua vita furono Tommaso d’Aquino e Saint-Exupéry. Dopo una proficua esperienza d’inse­gnamento della teologia in Belgio e un impegno diretto tra gli scout, allo scoppio della guerra padre Pire entrò nelle file della Resistenza come cap­pellano. Fu per lui il primo confronto con il mondo dei rifugiati. Il suo meri­to maggiore fu aver aiutato gli Alleati a penetrare nel Belgio, occupato dai na­zisti. Ma il vero anno di svolta fu il 1949, grazie all’incontro con l’ufficiale americano Edward Squa­drille col quale visitò 25 campi profughi euro­pei, sia nella zona occupata dagli statuni­tensi che in quella d’in­fluenza russa. Rimase im­pressionato in particolare da Trieste. «Quello che mi colpì in quelle visite – racconterà lo stesso Pire an­ni dopo – era la mancanza di dialogo tra le persone recluse. I polacchi aiuta­vano i polacchi, gli ungheresi gli un­gheresi. I cattolici sostenevano solo i cattolici e lo stesso facevano i prote­stanti. Mancava un vero dialogo frater­no e una rete di mutuo soccorso». Da queste visite nacque l’idea dei Villaggi Europei. Da quel momento il sacerdo­te costruirà i suoi Villaggi in ogni an­golo del vecchio continente, con un impegno principale: il sostegno ai pro­fughi, soprattutto vecchi e bambini, e la difesa dei loro diritti umani, abbat­tendo le barriere di diversità religiosa, culturale e soprattutto razziale. Terre­no fertile del suo apostolato fu anche l’annuncio del Vangelo ai non credenti e agli atei militanti. Come Thomas Merton e don Primo Mazzolari, padre Pire fu convinto promotore della Pa­cem in Terris di Giovanni XXIII. Profeti­che e di grande lungimiranza risulta­rono le sue battaglie contro il riarmo atomico – «le nuove Hiroshima» –, la tortura, la fame nel mondo e ogni for­ma di razzismo. Condivise con tutto se stesso le appassionate riflessioni del giornalista John Griffin, amico di Mer­ton e autore del libro Black like me («Nero come me») per un’uguaglianza sostanziale tra neri e bianchi negli Sta­ti Uniti di Martin Luther King e Bob Kennedy. In una confidenza all’amico Charles Dricot nel libro-testamento del 1966 Costruire la pace, il domeni­cano belga si diceva convinto che gli Stati Uniti «fra quarant’anni avranno un presidente nero»: una profezia che ha avuto compimento pochi giorni fa... La ribalta mediatica del Nobel spingerà poi padre Pire ad avverare un sogno accarezzato da anni: fondare a Huy, in Belgio, l’Università della Pace. Creata il 10 aprile 1960, l’istituzione e­siste tuttora ed è formata da 1500 stu­denti provenienti da tutto il mondo e appartenenti a varie religioni. Scopo dell’ateneo, dai tratti inconsueti, è for­mare «buoni operai della pace» – se­condo le parole stesse del fondatore. Ma non solo. Obiettivo principale della forse più fortunata e riuscita «creatu­ra » di padre Pire è stato anche realizza­re una scuola di pace all’insegna della tolleranza, del dialogo interreligioso e interculturale e in particolare dell’edu­cazione dei giovani alla risoluzione dei conflitti. Ben dieci premi Nobel, facen­do parte del comitato scientifico del­l’università, rimarranno affascinati dal luogo e dalla forza profetica e vulcani­ca del religioso domenicano; tra loro il padre della bomba atomica Robert Oppenheimer e l’amico di vecchia da­ta, medico e teologo Albert Schweitzer. Anche Salvatore Quasimodo, Nobel nel 1959, manterrà sempre nei con­fronti di Pire un «sentimento di stima e riconoscenza per i suoi insegnamen­ti ». L’ultimo grande lascito di Domini­que Pire è il progetto «Isole di pace» che ha permesso di sostenere con aiuti concreti i Paesi in via di sviluppo. Nell’ultima parte della vita il religioso interverrà spesso per lanciare appelli in favore della pace. Lo farà dopo l’o­micidio di Martin Luther King, solleci­tando un intervento per pacificare il Vietnam. Ripeterà il gesto dopo la re­pressione della Primavera di Praga (in quel caso la sua organizzazione aiutò 50 giovani cechi) e dopo l’uccisione di Bob Kennedy. Il sacerdote morirà po­chi mesi più tardi. «Qui riposa padre Pire – si legge sulla sua tomba –, voce degli uomini senza voce». Padre Henri Dominique Pire, premio Nobel per la Pace nel 1958 per il suo impegno a favore dei profughi
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