Il 30 gennaio di quarant’anni fa si spegneva a soli 59 anni, stroncato da una trombosi cerebrale, il domenicano belga Dominique Pire: apostolo dei diseredati e dei rifugiati. L’uomo che amava definire – con le stesse parole dell’Abbé Pierre – il suo impegno come quello di «essere la voce dei senza voce». Ma padre Pire fu anche il primo sacerdote a vincere il Nobel per la pace – dopo di lui lo riceverà nel 1996 il vescovo salesiano di Timor Est, Carlos Filipe Ximenes Belo –, assegnatogli il 10 dicembre 1958 per il sostegno offerto ai popoli oppressi del secondo dopoguerra. In quel frangente il religioso disse, con voce rotta dalla commozione: «Premiate con il Nobel un prete e un bambino, allo stesso tempo». Primo di 7 figli, Georges Pire nacque a Dinant, in Belgio, il 10 febbraio 1910. Entrò nei domenicani nel 1928 prendendo il nome di Henri Dominique, in omaggio al grande predicatore e intellettuale francese Lacordaire. Dal 1932 al 1936 conseguì il dottorato in teologia all’Angelicum e in seguito si laureò in sociologia a Lovanio. Stelle polari della sua vita furono Tommaso d’Aquino e Saint-Exupéry. Dopo una proficua esperienza d’insegnamento della teologia in Belgio e un impegno diretto tra gli scout, allo scoppio della guerra padre Pire entrò nelle file della Resistenza come cappellano. Fu per lui il primo confronto con il mondo dei rifugiati. Il suo merito maggiore fu aver aiutato gli Alleati a penetrare nel Belgio, occupato dai nazisti. Ma il vero anno di svolta fu il 1949, grazie all’incontro con l’ufficiale americano Edward Squadrille col quale visitò 25 campi profughi europei, sia nella zona occupata dagli statunitensi che in quella d’influenza russa. Rimase impressionato in particolare da Trieste. «Quello che mi colpì in quelle visite – racconterà lo stesso Pire anni dopo – era la mancanza di dialogo tra le persone recluse. I polacchi aiutavano i polacchi, gli ungheresi gli ungheresi. I cattolici sostenevano solo i cattolici e lo stesso facevano i protestanti. Mancava un vero dialogo fraterno e una rete di mutuo soccorso». Da queste visite nacque l’idea dei Villaggi Europei. Da quel momento il sacerdote costruirà i suoi Villaggi in ogni angolo del vecchio continente, con un impegno principale: il sostegno ai profughi, soprattutto vecchi e bambini, e la difesa dei loro diritti umani, abbattendo le barriere di diversità religiosa, culturale e soprattutto razziale. Terreno fertile del suo apostolato fu anche l’annuncio del Vangelo ai non credenti e agli atei militanti. Come Thomas Merton e don Primo Mazzolari, padre Pire fu convinto promotore della Pacem in Terris di Giovanni XXIII. Profetiche e di grande lungimiranza risultarono le sue battaglie contro il riarmo atomico – «le nuove Hiroshima» –, la tortura, la fame nel mondo e ogni forma di razzismo. Condivise con tutto se stesso le appassionate riflessioni del giornalista John Griffin, amico di Merton e autore del libro Black like me («Nero come me») per un’uguaglianza sostanziale tra neri e bianchi negli Stati Uniti di Martin Luther King e Bob Kennedy. In una confidenza all’amico Charles Dricot nel libro-testamento del 1966 Costruire la pace, il domenicano belga si diceva convinto che gli Stati Uniti «fra quarant’anni avranno un presidente nero»: una profezia che ha avuto compimento pochi giorni fa... La ribalta mediatica del Nobel spingerà poi padre Pire ad avverare un sogno accarezzato da anni: fondare a Huy, in Belgio, l’Università della Pace. Creata il 10 aprile 1960, l’istituzione esiste tuttora ed è formata da 1500 studenti provenienti da tutto il mondo e appartenenti a varie religioni. Scopo dell’ateneo, dai tratti inconsueti, è formare «buoni operai della pace» – secondo le parole stesse del fondatore. Ma non solo. Obiettivo principale della forse più fortunata e riuscita «creatura » di padre Pire è stato anche realizzare una scuola di pace all’insegna della tolleranza, del dialogo interreligioso e interculturale e in particolare dell’educazione dei giovani alla risoluzione dei conflitti. Ben dieci premi Nobel, facendo parte del comitato scientifico dell’università, rimarranno affascinati dal luogo e dalla forza profetica e vulcanica del religioso domenicano; tra loro il padre della bomba atomica Robert Oppenheimer e l’amico di vecchia data, medico e teologo Albert Schweitzer. Anche Salvatore Quasimodo, Nobel nel 1959, manterrà sempre nei confronti di Pire un «sentimento di stima e riconoscenza per i suoi insegnamenti ». L’ultimo grande lascito di Dominique Pire è il progetto «Isole di pace» che ha permesso di sostenere con aiuti concreti i Paesi in via di sviluppo. Nell’ultima parte della vita il religioso interverrà spesso per lanciare appelli in favore della pace. Lo farà dopo l’omicidio di Martin Luther King, sollecitando un intervento per pacificare il Vietnam. Ripeterà il gesto dopo la repressione della Primavera di Praga (in quel caso la sua organizzazione aiutò 50 giovani cechi) e dopo l’uccisione di Bob Kennedy. Il sacerdote morirà pochi mesi più tardi. «Qui riposa padre Pire – si legge sulla sua tomba –, voce degli uomini senza voce». Padre Henri Dominique Pire, premio Nobel per la Pace nel 1958 per il suo impegno a favore dei profughi