Profondo conoscitore del Vangeli, in particolare di quello di Giovanni, fine esegeta quasi maniacale per l’attenzione certosina ai particolari, alle citazioni bibliche; ma anche studioso convinto che per amare e praticare la parola di Dio è necessario avere come fidi alleati, nella propria ricerca, la filosofia, la teologia e ovviamente la fede. Sono le bussole che hanno orientato la vita del gesuita belga Ignace de la Potterie (1914-2003), di cui domani ricorrono i dieci anni della morte. Una figura rimasta tuttavia attuale, soprattutto per gli studi sulla «verità» nel Vangelo di Giovanni (il tema della sua tesi di dottorato, un lavoro che durò ben 12 anni, sotto la guida di Stanislas Lyonnet), ma anche per essersi fatto conoscere a un più vasto pubblico attraverso le collaborazioni a importanti riviste come
La Civiltà Cattolica o il mensile
30Giorni (fu tra l’altro uno degli ospiti più rilevanti e applauditi dell’edizione 1992 del Meeting di Rimini – memorabile il suo monito: «La spiritualità di Cl è cristologica») e per esser stato tra gli ispiratori e i fondatori, assieme al salesiano don Giorgio Zevini, del semestrale di lettura biblica pubblicato dalle Dehoniane di Bologna,
Parola, Spirito e vita. Un gesuita di razza, apprezzato ancora oggi nella ristretta cerchia degli esegeti per la sua presenza tra i membri (1973-1984) della prima Pontificia Commissione biblica internazionale, voluta negli anni del post-Concilio da Paolo VI, e per essere stato uno dei biblisti di fiducia dell’allora cardinale Joseph Ratzinger, il futuro Benedetto XVI. Chi conserva ancora oggi un ricordo nitido del suo antico collega del Pontificio Istituto Biblico (di cui fu professore per quasi 30 anni, dal 1961 al 1989) è il gesuita francese e cardinale
Albert Vanhoye: «Mi tornano in mente la sua caparbietà e il rigore nello studi. Io ho scelto come tesi di dottorato la Lettera agli Ebrei – che divenne poi la ragione di vita della mia ricerca di esegeta –, ma la mia prima passione giovanile fu il Vangelo di Giovanni, da cui la mia ammirazione per il tempo, 12 anni, impiegato dal confratello belga a terminare il suo lavoro sul medesimo argomento. Una ricerca immensa, enciclopedica. Lo ricordo anche come un grande studioso dei Vangeli sinottici e di lui rammento la capacità di non fermarsi mai alla superficialità dei testi ma di cercare sempre di entrare nei particolari con la forza dell’"accanimento" tipica degli esegeti». E proprio la capacità certosina di essere attento ai particolari e di «stanare» quasi in modo scientifico gli errori di citazioni bibliche dei suoi studenti di dottorato (che furono circa una trentina nell’arco della sua lunga vita accademica) è uno degli aspetti di padre de la Potterie che affiorano dalla mente di un altro biblista, successore diretto di Carlo Maria Martini alla guida del Biblico di Roma, il gesuita belga
Maurice Gilbert: «Mi sono trovato ad essere, a causa di una sua malattia agli occhi, il correttore di bozze della sua tesi di dottorato. Così da giovane studente ho potuto apprezzare il suo rigore scientifico ma anche l’importanza che hanno avuto per lui la scuola e il metodo di Lovanio, luogo che gli ha permesso di avere una formazione completa. Per lui una buona esegesi doveva essere non solo fedele al testo, ma anche teologica e spirituale. Ricordo ancora la modernità delle sue lezioni, come il corso dedicato alla prima epistola di san Giovanni». Quella del gesuita fiammingo, secondo padre Gilbert, è un’eredità molto attuale per l’amore ai Padri della Chiesa («In compagnia dei quali trascorreva le notti insonni nella biblioteca del Biblico…»), ma anche per lo spazio dato all’ermeneutica: «Strano a pensarsi, ma due fari della sua ricerca sono stati Hans Georg Gadamer e Paul Ricoeur, che invitò, tra l’altro, come docente per un corso al Biblico. De la Potterie ha capito, forse più di altri, la distanza che esisteva tra il testo antico e l’interprete che è un uomo moderno. E aveva sposato, in un certo senso, il metodo ermeneutico di Ricoeur che affermava: "Colui che interpreta non soltanto legge, ma deve corrispondere nella sua vita a ciò che legge". Forse per questo padre Ignace non è stato solo un grande esegeta, ma anche un intellettuale a tutto tondo». Secondo il cardinale Vanhoye è evidente pure l’influsso indiretto di de la Potterie sul Vaticano II, proprio in chiave ermeneutica, e in particolare sulla costituzione dogmatica
Dei Verbum: «Si impegnò per aiutare i padri del Concilio a comprendere i problemi che stavano dietro ai grandi temi della parola di Dio e della Sacra Scrittura. Rammento che, appena fu approvata la
Dei Verbum, ne difese con forza il carattere di novità, anche di fronte a traduzioni maldestre di qualche frase che ne oscuravano il messaggio portante». A questo proposito padre Gilbert accenna a un particolare: «Probabilmente su suo suggerimento nel 1965 al capitolo 12 della
Dei Verbum venne inserita una frase che recita: "La Scrittura deve essere letta e interpretata nello Spirito che l’ha scritta". Quell’aggiunta finale rappresentò un successo per de la Potterie, ma anche per tutti noi del Biblico». Finezza e rigore esegetico dimostrati, secondo l’attuale segretario della Pontificia commissione biblica internazionale, il gesuita tedesco
Klemens Stock, dalla lunga collaborazione alla Congregazione per la Dottrina della Fede fino al 1993: «De la Potterie assieme a Lyonnet è stato in un certo senso uno dei "padri nobili" della Commissione Biblica voluta da Paolo VI, che per la prima volta diventava un organo consultivo di esperti. Frutto di quegli anni di duro lavoro è stato un documento del 1984 molto innovativo per noi studiosi della parola di Dio:
Bibbia, cristologia e Sacra Scrittura». Anni che permisero a padre de la Potterie di coltivare una solida amicizia e collaborazione con l’allora prefetto Joseph Ratzinger: «Pochi sanno che assieme al futuro Benedetto XVI il gesuita collaborò alla pubblicazione di
L’esegesi cristiana oggi, una collettanea di articoli a cui parteciparono con i loro interventi anche Martini e De Lubac. Di grande interesse per la comune lunghezza d’onda di vedute sono i contributi di de la Potterie
L’esegesi biblica, scienza della fede e di Ratzinger
L’interpretazione biblica in conflitto. In questi due scritti è bello notare il comune sentire dei due studiosi e la difesa della "realtà storica dei Vangeli". Il tratto che più mi ha colpito di padre Ignace è stato proprio questo di insistere sul valore dell’esegesi come "attività teologica" e sul fatto che "senza fede non ci può essere una buona esegesi". Proprio per la sua puntigliosità il mio confratello era un uomo capace di guardare lontano, avendo sempre un occhio di riguardo all’applicazione concreta della parola di Dio nella vita corrente dei cristiani».