Negli Oscar di quest’anno batte un cuore afroamericano. In una delle edizioni più “black” degli Academy Award, consegnati domenica sera al Dolby Theatre di Los Angeles in una cerimonia che ha visto l’avvicendarsi sul palco di moltissimi presentatori, chiamati a sostituite il tradizionale host, a trionfare come miglior film è Green Bookdi Peter Farrelly, con Viggo Mortensen e Mahershala Ali, musulmano nero premiato nel corso della serata come miglior attore non protagonista. Il secondo Oscar in due anni, visto che nel 2017 aveva conquistato quello per Moonlight. Scritto da autori bianchi (lo stesso regista con Nick Vallelonga e Brian Hayes Currie) che hanno ottenuto una statuetta anche per la sceneggiatura originale, il film racconta però il viaggio di un musicista afroamericano nell’America razzista degli anni Sessanta, accompagnato da un rozzo autista italo-americano che imparerà ad apprezzare quanta raffinatezza e umanità ci siano sotto la pelle nera del suo cliente.
A infiammare finalmente una serata fino a quel momento sonnolenta e prevedibile arriva Spike Lee, vestito di viola in onore di Prince, che salta in braccio a Samuel L. Jackson prima di ritirare la statuetta per la migliore sceneggiatura non originale, quella di BlacKkKlansman, storia vera di un poliziotto nero infiltrato nel Ku Klux Klan. Le sue parole, lette su un foglietto giallo come le scarpe che indossa, sono le più politiche della serata, bollate poi come razziste nei suoi confronti dal presidente Trump: «Quattrocento anni fa i nostri antenati sono stati rubati all’Africa e portati in Virginia per essere schiavizzati e lavoravano la terra dalla mattina alla sera. Mia nonna si era laureata nonostante sua madre fosse una schiava e ha messo da parte gli assegni della sicurezza sociale per mandarmi al Morehouse College e alla NYU Film. Davanti al mondo stasera voglio ringraziare i nostri antenati che ci hanno aiutato a costruire questo paese, facendolo diventare quello che è oggi, senza dimenticare il genocidio dei nativi. Se ci ricollegheremo con i nostri antenati riavremo amore, saggezza e la nostra umanità. Sarà un momento potente. L’elezione del 2020 è dietro l’angolo: mobilitiamoci, stiamo dalla parte giusta della storia, facciamo la scelta morale dell’amore contro l’odio. Facciamo la cosa giusta!», dice il regista salutato da una standing ovation, prima di infuriarsi però per la vittoria di Green Book, consacrato con un Oscar nel quale il regista aveva davvero sperato fino all’ultimo.
Poco importa che Joe Lewis, l’attivista che al fianco di Martin Luther King fu spesso malmenato dalla polizia e incarcerato, avesse appena tessuto sul palco le lodi del film di Farrelly dicendo: «Racconta cose vere, discriminazioni e violenze sofferte dai neri, uomini e donne. Questo Paese ne porta ancora le cicatrici, così come faccio io». Afroamericana anche la migliore attrice non protagonista, Regina King, premiata per Se la strada potesse parlare di Barry Jenkins, mentre gli Oscar per scenografia, costumi e colonna sonora vanno a Black Panther: ci è voluto il primo supereroe nero della Marvel perché quest’ultima vincesse per la prima volta agli Academy Awards. Afrolatino è l’Uomo Ragno protagonista di Spider- Man - Un nuovo universo, il film di animazione della Sony che ha battuto i due cartoon Disney, ma la questione razziale è proposta anche dal miglior cortometraggio, Skin di Guy Nattiv. Un altro messaggio forte e chiaro all’America di Trump arriva dal successo annunciato di Roma di Alfonso Cuarón, già Leone d’Oro a Venezia: il film vince per la regia (ormai si possono indovinare i premi quando sul palco compaiono i premiatori, e l’ingresso di Guillermo Del Toro non lasciava dubbi), per la fotografia e come miglior film straniero. A consegnargli la statuetta è stato lo spagnolo Javier Bardem che nella sua lingua ha detto: «Le frontiere e i muri non fermano l’ingegno e il talento, in ogni Paese e regione ci sono storie che ci commuovono».
Sulla diversità punta anche il discorso di accettazione di Rami Malek, miglior attore protagonista nei panni di Freddie Mercury in Bohemian Rapsody, campione di incassi in tutto il mondo e vincitore di altri tre Oscar: sonoro, montaggio sonoro e montaggio. «Sono il figlio di immigrati egiziani, americano di seconda generazione, e non ero la scelta più ovvia, ma a quanto pare ha funzionato», ha dichiarato l’attore 37enne, che ha ringraziato i Queen in platea, la madre che non stava più nella pelle per la felicità e il padre che non ce l’ha fatta invece a vedere il suo trionfo. Nei panni della regina Anna Stuart in La favorita (dieci nomination e una sola statuetta) l’inglese Olivia Colman strappa l’Oscar per la migliore attrice protagonista dalle mani di Glenn Close che l’attende da ben sette nomination, mentre il grande sconfitto della serata è Vice - L’uomo nell’ombra, che nonostante otto candidature porta a casa solo l’Oscar per trucco e acconciature. Commozione sul palco durante l’esibizione di Lady Gaga e Bradley Cooper che cantano Shallow, Oscar per la migliore canzone (da A Star in Born) e la celebrazione “In memoriam”, dove sono stati ricordati anche Ermanno Olmi, Vittorio Taviani e Bernardo Bertolucci.