Nessuno, d’altro canto, pensa seriamente che non esista un abisso tra le meduse, gli scorpioni, i ragni e perfino le formiche e le api, pur così dotate, o le scimmie, per quanto intelligenti possano essere, e quel che chiamiamo esseri umani. A dispetto di Darwin e del suo evoluzionismo, c’è una frontiera invalicabile e di una sorprendente chiarezza tra noi e le altre creature viventi. Eccoci qua: per alcuni siamo dei primati evoluti e subiremo, dopo la nostra morte, la sorte dei vertebrati e dei mammiferi ai quali apparteniamo e delle scimmie nostre cugine. Per altri siamo radicalmente diversi da tutte le altre creature viventi e c’è in noi un pallido riflesso del divino. Dobbiamo quindi pensare che il pensiero, il linguaggio, l’amore per la verità e la bellezza, il senso del bene e del male, tutto ciò che si è per lungo tempo riunito sotto il vocabolo oggi quasi scomparso di coscienza basti ad assicurare tutta la differenza, dopo la morte, tra niente e speranza di qualcosa di ineffabile?L’idea che abbiamo, in un senso o nell’altro, del grande romanzo del tutto si gioca su questa linea di demarcazione tra il niente e Dio. Esiste solo una scelta, alla fine dei conti, e tutto si gioca in questa scelta: tra il nulla lavorato dal caso e Dio. Non possiamo sapere niente del nulla che precede il Big Bang né del nulla successivo alla nostra vita. Le cose sono talmente intrecciate che il muro di Planck e il muro della morte sono ugualmente invalicabili. Ma possiamo farci un’idea di ciò che è possibile e di ciò che è impossibile. Se l’universo è frutto del caso, se non siamo altro che un assemblaggio alla bell’e meglio di particelle deperibili, non abbiamo la minima possibilità di sperare in qualsiasi cosa dopo l’ineluttabile morte. Se Dio, al contrario, e quel che chiamiamo – a torto – il suo spirito e la sua volontà sono all’origine dell’universo, tutto è possibile. Anche l’inverosimile. Da un lato la certezza dell’assurdo. Dall’altro la possibilità del mistero.
Molti, nel corso della storia, e soprattutto ai nostri tempi, hanno scelto l’assurdo. Con le sue conseguenze. C’è della grandezza in questa scelta. Disperata. Orgogliosa. Coraggiosa. Forse per carattere, forse perché ho amato la felicità, perché detesto la disperazione, io ho scelto il mistero. Lo confesso con una punta d’ingenuità: mi sembra impossibile che l’ordine dell’universo sprofondato nel tempo, con le sue leggi e il suo rigore, sia frutto del caso. Improvvisamente, il male e il dolore acquistano un senso – a noi sconosciuto, ovviamente, ma nonostante tutto un senso. Improvvisamente, mi affido a qualcosa di enigmatico che è molto più in alto di me e di cui io sono la creatura e il giocattolo. Non sono lontano dal pensare che sia solo insensato dire: «Dio non c’è». Io credo in Dio perché il giorno sorge ogni mattina, perché c’è una storia e perché ho un’idea di Dio che non so da dove potrebbe arrivare se non ci fosse Dio.