«Henry Ford con le sue auto aveva voluto aprire le strade a tutti, fornendo una straordinaria forma di libertà. Ma oggi stiamo pagando un prezzo troppo alto per disporre di questo beneficio, per effetto del traffico e degli ingorghi. È ora di restituire le città ai cittadini... ». Una frase del genere pronunciata da un ecologista, non farebbe notizia. Lo diventa invece se si tratta dell’incipit del discorso di apertura al Consumer Electronics Show di Las Vegas di Jim Hackett, amministratore delegato e presidente di Ford. Cioè di uno dei più grandi marchi di costruttori di auto al mondo. L’automobile che chiede scusa, che corre ai ripari e attraverso la tecnologia suggerisce rimedi per inserirsi nel tessuto sociale e urbanistico in maniera sempre meno traumatica: questa è la grande tendenza del presente. Una presa di coscienza onesta e consapevole che il mondo delle mobilità su ruote ha adottato da tempo, reagendo allo scandalo “dieselgate” in maniera costruttiva, molto più di tutte le altre componenti potenzialmente inquinanti dell’industria, in maggioranza lente e insensibili di fronte all’allarmante realtà di oggi. È stato calcolato infatti che entro il 2030 saranno 34 le città del mondo con oltre 10 milioni di abitanti, che ci saranno almeno 41 megalopoli e vent’anni più tardi l’80% della popolazione globale vivrà in città. Il costo annuo degli ingorghi nelle aree urbane delle sole metropoli europee potrebbe raggiungere – secondo uno studio di Inrix Roadway Analytics – la cifra di 208 miliardi di euro, il doppio rispetto a quello previsto per le dieci più importanti aree metropolitane degli Stati Uniti, con un conseguente aumento della pressione sulle infrastrutture, sull’ambiente e sulla qualità di vita. Incidendo sull’aria che respiriamo, sul tempo che sprechiamo nel traffico, sull’energia che consumiamo e sulla nostra sicurezza. Per questo motivo, le città devono cambiare approccio e farsi aiutare dalla tecnologia per capire dove e come intervenire. Ecco perché il messaggio lanciato da Ford al CES di Las Vegas è stato chiaro e per molti aspetti rivoluzionario. Jim Hackett ha infatti ribadito di avere come obiettivo la restituzione dello spazio concesso alle strade, progettate per le automobili, ai cittadini. E di voler invertire una situazione in cui tutto l’ambiente in cui vivono milioni di persone ruota attorno alle automobili.
La strategia annunciata da Ford non prevede, naturalmente, l’abbandono delle vetture. Ma il loro inserimento in un sistema complesso e connesso che ridisegna la mobilità attraverso nuove infrastrutture, nuove forme di condivisione, nuove opportunità di riduzione dei tempi morti nel traffico e soprattutto nuove tipologie di veicoli. Nel confermare le sperimentazioni sempre più estese delle future generazioni di auto e mezzi commerciali a guida autonoma, Ford ha anche anticipato un ambizioso progetto di utilizzo di questi veicoli per le consegne a domicilio di varie tipologie di merci, con l’obiettivo di rendere sempre più socialmente apprezzabile l’impatto delle auto a guida autonoma sulla comunità. Quello che appare chiaro è che è soprattutto la mobilità il settore in cui è più necessario intervenire. Tutti i costruttori hanno investito miliardi di dollari per ridurre le emissioni nocive dei motori, “tagliandole” in media il 30% negli ultimi dieci anni, e per adeguarsi ai limiti sempre più severi imposti soprattutto dall’Unione Europea: uno sforzo economico enorme che ha portato a rivoluzionare la tipologia di alimentazione, abbandonando progressivamente le motorizzazioni a gasolio a favore di quelle elettriche o elettrificate. Ma quella contro l’inquinamento non è l’unica battaglia in cui l’automobile è impegnata.
Negli Stati Uniti, per esempio, è stato calcolato che si trascorrono oltre 40 ore all’anno fermi nel traffico, sperperando oltre 160 miliardi di dollari in tempo e combustibile. E che quello per la ricerca del parcheggio in città è pari a più di un terzo del tempo complessivo trascorso in auto. Per questo anche Bosch, il maggiore fornitore di sistemi elettronici per autovetture e altro soggetto evoluto e molto responsabilizzato dell’automotive, ha pensato a una soluzione che consente di trovare uno spazio di sosta libero, divenuto ormai una rarità nelle zone residenziali e nei centri storici. Durante la marcia, le auto individuano e misurano automaticamente gli spazi fra le vetture parcheggiate, trasmettendo i dati in tempo reale a una mappa digitale che consente agli altri veicoli di trovare i parcheggi liberi. «Dopo aver superato con successo la fase pilota del progetto, stiamo pianificando il lancio del community-based parking in 20 città degli Stati Uniti quest’anno. In luoghi come Los Angeles, Miami e Boston, daremo informazioni in tempo reale sui parcheggi disponibili su strada per i produttori di auto. I guidatori potranno vedere sui loro sistemi di navigazione il luogo in cui si trova un posto libero e potranno andarci direttamente, risparmiando tempo, combustibile e stress», spiegano dalla multinazionale tedesca.
Un’altra delle soluzioni del futuro sono i garage con sistema di parcheggio autonomo: basta lasciare il veicolo all’ingresso del silos e trasmettere il comando da un’app per smartphone: l’auto cerca quindi un posto libero e parcheggia senza l’intervento del guidatore. Bosch e Daimler hanno già lanciato il primo servizio di questo tipo presso il museo Mercedes-Benz a Stoccarda. Questa innovazione eliminerà lo stress e permetterà un uso più efficiente dei posti disponibili: lo stesso spazio potrà ospitare fino al 20% in più di veicoli. Investimenti, studi, innovazione, disponibilità a cambiare: l’automobile resta al momento il mezzo di mobilità meno evitabile, ma corre verso un futuro che le consenta di rimandare la distruzione di se stessa. Reinventandosi e mettendosi in discussione. La soluzione per avere un numero maggiore di parcheggi, spostamenti rapidissimi, meno inquinamento e traffico quasi azzerato, è stata studiata anche dall’Itf dell’Ocse, forum che l’organizzazione per la Cooperazione e lo sviluppo economico utilizza per esaminare nuovi scenari di mobilità. Il modello di città del futuro sostenibile è emerso da un’indagine sulla mobilità condivisa realizzata con sperimentazioni a Helsinki e Lisbona, due realtà diverse ma rappresentative.
Nella simulazione, tutti gli spostamenti su strada sono stati sostituiti da taxi-bus con configurazioni differente di posti a sedere, da 6 a 20 persone, diretti verso la rete dei collegamenti pubblici di metro e autobus: quindi con taxi “classici” che prelevano gli utenti sotto casa o al lavoro per portarli in un altro punto della città, e mini autobus più grandi con servizio “on demand” per i quali è necessaria una prenotazione mezz’ora prima del passaggio e fermate per la salita dei passeggeri fino a 400 metri da casa o dal lavoro. In questo modo l’utilizzo dell’auto privata è stato praticamente azzerato: Helsinki avrebbe abbassato il fabbisogno di auto necessarie per gli spostamenti a un 4% rispetto alle attuali necessità, l’inquinamento sarebbe abbattuto di quasi il 30% e gli imbottigliamenti del 37%. A Lisbona invece la simulazione evidenzia un crollo dello smog addirittura del 70%, dal momento che il traffico su gomma è molto più alto rispetto a Helsinki.