Gianmarco "Gimbo" Tamberi a Tokyo durante le qualifcazioni nel salto in alto - Ansa
L’orologio dello stadio olimpico, sorto sulle ceneri del glorioso Nazionale dove il Milan di Sacchi conquistò un paio di Intercontinentali a cavallo tra Anni ’80 e ’90, non ha ancora battuto le nove, ma sotto la curva, popolata da pochi atleti, un ragazzo col cappellino all’americana abbozza prove di rincorsa e salti all’insù, cercando il sostegno della claque. È Gianmarco Tamberi, per tutti Gimbo, l’uomo più atteso dell’atletica azzurra in terra nipponica. La Regina ha aperto le ostilità e all’Italia occorre il riscatto per cancellare quel triplo zero nel medagliere registrato cinque anni fa in terra carioca.
Sull’aereo per Rio Tamberi non riuscì a salire, perché alla vigilia, nella stessa sera in cui stabilì il record italiano, si frantumò il tendine d’Achille al meeting di Montecarlo. Da quel momento Gimbo ha sognato Tokyo giorno e notte, tanto che nella cucina di casa ha aggiornato quotidianamente il conto alla rovescia su una lavagnetta. Prima di volare in Giappone ha chiesto alla fidanzata di sposarlo e il giorno della qualificazione dell’alto si è presentato come un ragazzo normale: niente barba a metà né capelli ossigenati.
Stavolta il saltatore marchigiano è acqua e sapone, ma comunque compie la missione, conquistando uno dei tredici posti nella finale in calendario domani alle 12.10 italiane: l’ora x nella quale Gimbo affronterà la gara più attesa della sua vita, come lui stesso l’ha definita. «L’obiettivo era entrare in finale, ma ammetto che speravo di ottenere in pedana dei riscontri diversi. So di stare molto bene, che posso saltare molto alto, ma purtroppo non sono riuscito ad ottenere quello che mi auguravo. Ora rivedremo i salti, analizzeremo ciò che non è andato, e cercheremo di modificare qualcosa in vista della finale», ha spiegato Tamberi, non negando di essersi emozionato dentro l’arena. «All’ingresso c’era una tenda che nascondeva lo stadio, poi entrando ho ripensato a tutto quel che ho dovuto fare per essere qui, e adesso voglio godermi questa magia».
Atletica leggera azzurra
Alle spalle di Tamberi c’è un’Italia che corre, lotta e riesce a superare le difficoltà. Una pattuglia mai così ricca - sono 76 i portacolori dell’atletica tricolore - ma che nella prima giornata si dimostra vigorosa e vogliosa. Belle le qualificazioni in finale nei 3000 siepi del romano di origini egiziane Ahmed Abdelwahed e del siciliano nato a Tunisi, Ala Zoghlami.
Sontuosa la prova dell’ingegnere napoletano Alessandro Sibilio nei 400 ostacoli e della dottoressa pisana Anna Bongiorni nei 100, applausi pure per la qualificazione alle semifinali degli 800 di Elena Bellò. In serata ci sono il marchio della figlia d’arte Nadia Battocletti, che a 21 anni si qualifica nella finale dei 5000, e il sigillo di Yeman Crippa, undicesimo nella finale dei 10000, secondo degli europei.
Oggi a dare il polso alle aspettative tricolori dovranno pensare i gemelli diversi dello sprint: il bresciano Marcell Jacobs e il brianzolo Filippo Tortu. Fino all’anno passato Tortu metteva sempre il naso davanti a Jacobs, nel 2021 i due velocisti si sono scambiati il testimone. Ora a dettare legge è Jacobs che tra oggi e domani sarà chiamato a riscrivere la storia: mai finora un italiano è giunto nella finale dei 100 metri, la prova simbolo dei Giochi. Neanche Pietro Mennea e Livio Berruti, olimpionici sui 200, hanno provato l’ebbrezza della finale olimpica dello sprint.
«È un obiettivo difficile, certo, ma obiettivamente alla mia portata», sintetizza il velocista nato a El Paso, ma cresciuto sul Garda, aggiungendo: «Del resto, questo non è solo quello che pensano gli altri di me, ma anche il mio obiettivo. È quello che voglio, che mi sono fissato come traguardo stagionale». Tra Jacobs e la leggenda ci sono di mezzo due turni. Poi, una volta in finale, tutto può succedere, anche l’imprevedibile. Ce lo insegnano, sessione dopo sessione, questi pazzi Giochi olimpici giapponesi. Silenziosi eppure zeppi di sorprese.