Gli One Blood Family
Se arrivi in Italia da luoghi dove fin da bambino hai conosciuto l’orrore della guerra e il dolore della perdita, allora forse ritrovi la speranza e senti dentro di te che la vita può cambiare, e in meglio. Se hai il ritmo nelle vene e la musica ti aiuta a combattere, a scacciare dalla memoria gli incubi che ti porti dietro da quel viaggio dall’inferno verso la libertà, allora sì, la vita può sicuramente cambiare. E allora oggi (ieri, ndr) che è la festa della Repubblica che li ha accolti e salvati, gli One Blood Family possono cantare con motivata ragione Life Can Change. Un brano (edito da Black Seed Records/Egea Music) trascinante e pieno di sonora vitalità, inciso nei giorni della “guerra” al Coronavirus. Una battaglia che questa band, unica nel panorama nazionale, composta interamente da giovani africani richiedenti asilo, ha affrontato tra le mura torinesi di Villa5: la casa di accoglienza di Collegno, gestita dalla Cooperativa Sociale Atypica. Un’avventura quella degli OBF, come ormai sono noti nel circuito underground, iniziata nel 2017.
Il progetto musicale sviluppatosi in questo periodo viene seguito dai producer Gabriele Concas e Matteo Marini (già The Sweet Life Society) e da Manuel Volpe e Simone Pozzi della Rhabdomantic Orchestra. Il loro lavoro inizialmente, anche di “tutor”, è stato quello di trasformare la multietnicità della band in una policromia di suoni e stili musicali che vanno dall’afrobeat, passando per la world music fino ad arrivare al dancehall. Un percorso artistico che per coniugare musica e testi («alcuni molto poetici!», scrivono i fan sui social) ha dovuto arginare gli scogli della lingua italiana. Approdo sicuro, grazie all’instancabile lavoro della Cooperativa Sociale Atypica che, oltre alla gestione del centro d’accoglienza di Villa5, è diventato laboratorio di formazione permanente offrendo ai ragazzi la possibilità di seguire corsi professionali, svolgere servizio civile e frequentare lezioni di italiano: tutto per riuscire ad accompagnarli al meglio durante il percorso di richiesta di asilo politico.
Finalmente al sicuro, la musica è il loro rifugio, il centro della loro quotidianità. E fino al lockdown gli OBF saltavano da un palco e un festival all’altro. Prime recensioni sui giornali locali, attestati di stima dagli addetti ai lavori e lo scorso anno l’accesso alla selezione del bando “Per chi crea” indetto dalla Siae. Riflettori accesi e un bagaglio di esperienze, di concerti dal vivo, che si è arricchito di pari passo con il repertorio da proporre a un pubblico sempre più numeroso che, con il passaparola in Rete adesso corre ad ascoltarli. «La qualità dello show, concerto dopo concerto è salita al punto che abbiamo deciso di reclutare altri musicisti: ospiti, africani, di seconda generazione ma anche i italiani desiderosi di unirsi agli OBF. Insomma più che una band, adesso siamo una vera e propria famiglia », dice molto soddisfatto Manuel Volpe che, oltre che autore e produttore, è anche uno dei quattro-cinque elementi che mantengono le “quote bianche” della band. Ma la “maggioranza black” è garantita anche dall’ultima arrivata, Goodness.
«È il nostro ultimo acquisto. Goodness è una cantante nigeriana, un’amica incontrata nelle scuole di italiano». Così come Gilbert, un talento del beatbox, italiano di seconda generazione: genitori ghanesi, ma è nato a Torino e si esprime nel dialetto della meglio gioventù dei Murazzi. Manuel presenta uno ad uno questi ragazzi dal sorriso contagioso, uniti da un sogno di inclusione sociale pienamente condiviso, assieme all’amore per la musica. Una musica quella degli OBF che ha un preciso messaggio: suonare e cantare provando a superare quei muri pregiudiziali, purtroppo disseminati e continuamente alzati in tutto il mondo.
«Ognuno di loro ha la sua storia fatta di sconfitte e sofferenze, ora superate, che sentono di raccontare – dice Manuel – . Adama, il nostro cantante del Gambia, fa il cameriere di sala con grande professionalità in un bellissimo ristorante nel parco della Certosa di Collegno e un giorno gli piacerebbe aprirne uno suo». Anche Seedy, è un cantante, arriva dal Gambia, «un lavoratore instancabile che finito il turno in fabbrica si presenta in studio di registrazione con le scarpe “antinfortunistiche”, gli occhi stanchi ma sempre un grande sorriso ad illuminargli il volto. Lui sogna davvero un futuro nella musica, ha talento e tanta voglia di imparare». C’è chi danza mentre suona il tamburo con lo stesso ritmo con cui dribbla in campo gli avversari. È il caso di Sana, percussionista gambiano che oltre alla band ha trovato anche la squadra di calcio.
«Sana gioca nell’Olympic Collegno e un giorno, spera presto, il suo sogno è indossare la maglia granata del Toro», racconta Manuel Volpe mentre accorda il suo basso elettrico per le prove che sono riprese appena i ragazzi hanno potuto ritrovarsi a Villa5. Con rinnovato entusiasmo sono tornati tutti i dodici-tredici componenti della formazione base. Ha ripreso a cantare il gambiano Ebrima, così come si scaldano di passione africana le mani di Sanna («fa parte del nostro piccolo enclave del Gambia anche lui») e quelle del senegalese Keba, i due percussionisti degli OBF. Tutti a lavoro, perché c’è un «nuovo sogno da realizzare, il primo album».
Un cd che comprenderà una decina di brani inediti, compreso l’ammaliante Life Can Change. Un pezzo memorabile, nato proprio nella Collegno dello “Smemorato”. Un frammento di ogni singola esistenza dei ragazzi dell’OBF, i quali sono riusciti a navigare lontani dalle acque tempestose e dalle terre rosse di sangue in cui sono nati e cresciuti, e ora sono qui, con noi. Adesso possono raccontare la fine delle tragedie e narrare la «fiaba della vita», proseguendo il cammino e cantando «io non mi fermo / i piedi sono stanchi, le spalle pesanti / ma niente può fermare questo mio andare». © RIPRODUZIONE RISERVATA Gli One Blood Family nati nel 2017 a Villa5, la casa-accoglienza di Collegno, Sopra la band “torinese-africana” dei Oè una band composta da giovani africani aventi asilo politico. “Life Can Change” il loro nuovo brano farà parte del primo album di questo gruppo che è la prova dell’inclusione e vuole «abbattere tutti i muri del pregiudizio» ne Blood Family, per i loro fan semplicemente OBF Sotto: quella che ormai è un’istituzione “romana” L’Orchestra di Piazza Vittorio