Stare a Lipsia il 9 ottobre ti fa venire un brivido. Specie passando davanti alla chiesa di San Nicola. Che oggi i turisti fotografano. Ma che nel 1989 fu teatro di una dura repressione delle forze della Ddr nei confronti di chi chiedeva libertà. Pensi alle settemila persone che sfilarono in silenzio, innescando la rivoluzione che un mese dopo portò al crollo del Muro. E pensi che in quella mattina avrebbero potuto risuonare le note di Ludwig van Beethoven. Quelle intrise di dolore, ma anche di speranza dell’
Allegretto della
Settima sinfonia. Come oggi. Le dirige Riccardo Chailly con il suo Gewandhaus. La sua orchestra. «Che ha vissuto l’austerità del regime e che ora porta in tutto il mondo il grande messaggio di speranza del compositore».Chailly ha in mano il cofanetto con l’integrale delle
Sinfonie di Beethoven che da oggi esce in Italia pubblicato dalla Decca (cinque dischi, costo sui 55 euro). «Prima volta in assoluto – eco la novità dell’edizione targata Chailly e Gewandhaus – che vengono incise rispettando i metronomi beethoveniani». Il che vuol dire con i tempi pensati dal compositore che aveva messo nero su bianco quante battute al minuto andavano suonate. «Impresa giudicata impossibile, la cui irrealizzabilità è stata addirittura teorizzata in un libro. Un triplo salto senza rete, una scalata dell’Himalaya» come definisce il direttore la sua sfida. Orgoglioso di averla vinta.Una rivoluzione anche quella di Chailly che si è accorto che qualcosa nel Beethoven della tradizione non andava «iniziando a dirigere come hanno sempre fatto i miei colleghi, con tempi di comodo. Non mi spiegavo, però, alcuni cali di tensione. Ho studiato i metronomi, mi sono cantato tutte le
Sinfonie velocizzate nella mente e mi sono accorto che queste cadute non c’erano più. Ho preso coraggio e ho provato a dirigerle». La prima volta quattro anni fa. A Lipsia. «In prova nessuno mi stava dietro. I musicisti, ancorati ai fantasmi della tradizione, mi hanno guardato perplessi. Abbiamo lavorato sodo e ora che abbiamo vinto anche le comprensibili resistenze del pubblico, penso sarebbe impossibile tornare indietro». I tempi sono più veloci. Vertice estremo l’ultimo movimento dell’
Ottava: «Sei minuti a un ritmo sfrenato che provano, anche fisicamente, gli orchestrali».E mentre il cofanetto arriva nei negozi – l’obiettivo ambizioso è, dopo le 44 settimane del Gershwin con Bollani e del Bach con Bahrami, fare entrare anche questo lavoro nella classifica pop dei 100 dischi più venduti – il direttore milanese e il Gewandhaus iniziano da Lipsia una tournée che porterà le Sinfonie, «una grande opera in 36 movimenti», a Vienna, Parigi e Londra, affiancate da brani commissionati a cinque autori contemporanei (l’italiano Boccadoro, il tedesco Scheleiermacher, l’austriaco Cerha, l’inglese Matthews e il francese Mantovani ) per raccontare Beethoven oggi. «Non li abbiamo incisi perché il progetto dei concerti è nato dopo quello discografico che la Decca mi chiede da 15 anni, ma al quale ho detto più volte no perché ho voluto prima frequentare Beethoven dal vivo. Tra migliaia di incisioni volevo dire qualcosa di nuovo». Chailly si augura che «chi ascolta il nostro lavoro si chieda il perché di tanta bellezza». Che, per il direttore, ha il suo vertice spirituale in quattro punti: la
Marcia funebre dell’
Eroica, il racconto della natura nella
Pastorale, l’
Allegretto della
Settima e l’
Adagio della
Nona.Il Beethoven di Chailly forse arriverà in Italia nel 2013. «Ce lo ha chiesto il festival MiTo» racconta il musicista che si dice «addolorato per la situazione culturale del nostro paese. La crisi c’è ovunque, anche in Germania, ma qui ci sono privati che investono in cultura. E a Lipsia il 10% del bilancio della città è dedicato alla cultura. Con prezzi popolari per opera, musica e teatro: da noi si entra con 5 euro e il posto più caro non supera i 50 euro». Anche questa, a suo modo, una rivoluzione. Che non fa rumore. Se non "quello" della musica.