La crisi del senso di appartenenza è tra gli elementi che stanno minando la società contemporanea. Il dubbio è che questa crisi possa coinvolgere, in un modo o nell’altro, anche la Chiesa. Ma a fugare questo timore, e anzi a ragionare in chiave propositiva e volta al futuro, è stato il vescovo Mariano Crociata, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, nella cattedrale di Messina. Di quella prolusione, tenuta il 7 febbraio in occasione della Settimana teologica 2011 della diocesi siciliana, pubblichiamo qui ampi stralci.----Il tema dell’appartenenza presenta carattere di singolare attualità, in un tempo dalla cultura largamente diffusa – che con un ossimoro definirei – della revocabilità permanente di scelte e legami. Nondimeno esso è un tema di lunga durata dell’esperienza umana e della riflessione, che tocca molteplici ambiti dell’esistenza personale e della convivenza sociale, dall’appartenenza civile a una nazione – dal richiamo spontaneo in questo anno centocinquantesimo dall’unità d’Italia – ma in un mondo globalizzato, all’appartenenza ecclesiale in un contesto pluralizzato di culture, credenze, religioni [...].La questione dell’appartenenza ecclesiale potrebbe sembrare, a tutta prima, piuttosto semplice. Tanto di più, quanto più si è inclini a considerare la Chiesa alla stregua di una qualunque altra società e a interpretare l’appartenenza ecclesiale in chiave esclusivamente sociologica. Anche nella Chiesa si entrerebbe, così, per libera scelta; e l’appartenenza ad essa sarebbe dovuta, perciò, alla decisione dei singoli di farne parte. Una determinazione ovviamente sempre revocabile, perché saldamente ancorata alla elezione libera di ciascuno; e la cui solidità, pertanto, dipenderebbe unicamente dal coinvolgimento dei singoli, dalla loro decisione, dal loro attivo prendervi parte. In altri termini, quella ecclesiale non rappresenterebbe che un caso particolare di una più generale appartenenza societaria. Essa risentirebbe, peraltro e proprio per questo, delle stesse dinamiche che contraddistinguono l’appartenenza alle associazioni, ai gruppi o alle società in contesto di post-modernità. Qualunque sia, infatti, il giudizio che si dà del tempo presente, è difficile sfuggire all’impressione che si registri, oggi, una vera e propria crisi dell’appartenenza o che le appartenenze – quando si realizzano – paiano sempre piuttosto fragili e fluttuanti. E tutto ciò sembra avere intrinsecamente a che vedere con alcuni tratti caratterizzanti l’orizzonte culturale odierno. È abbastanza evidente che ogni appartenenza chiara e stabile appaia oggi minacciata, se è vero che siamo in epoca di postmodernità; infatti – come afferma il noto sociologo polacco Zygmunt Bauman –, «siamo postmoderni in quanto le contingenze si contrappongono ad ogni tentativo del soggetto di acquisire un’identità fissa, che rimanga tale fino alla fine dei suoi giorni. Siamo postmoderni in quanto il mix delle molteplici identità socialmente riconosciute cambia continuamente con il passare del tempo. Siamo postmoderni poiché […] per il soggetto il processo di costruzione dell’identità non consiste tanto nel portare a compimento un unico progetto di vita, quanto piuttosto nel mantenere diversi progetti aperti e in fieri nella loro attualizzabilità».Se questi tratti esprimono qualcosa del modo di percepirsi e di vivere dei nostri contemporanei, è chiaro che essi denotano una fragilità delle appartenenze. Il fenomeno risulta ancora più evidente, quando si consideri il generale discredito in cui versano istituzioni sociali le più diverse: e questo per motivi complessi e vari, non ultimo il fatto che alla crisi della ragione moderna pare subentrare il 'culto dell’emozione', che dovrebbe rappresentare il criterio ultimo di ogni scelta e, dunque, di ogni appartenenza, oltre che della modalità in cui essa dovrebbe darsi. Come nota opportunamente Giovanni Ferretti, l’epoca attuale pare connotata dalla «sempre più diffusa coscienza, dei diritti degli impulsi e dei sen- timenti in campo etico, fino alla dichiarazione dell’immediatezza dei sentimenti: 'Va’ dove ti porta il cuore', ne hai sempre il diritto! La legge dei liberi sentimenti si è così sostituita alla legge della ragione, che vede il vero e il giusto oggettivamente vincolanti. Anche se c’è da chiedersi se veramente i sentimenti siano poi così liberi come spesso si pensa». Tutto questo non può che aggravare la fragilità ogni tipo di appartenenza. E, nella misura in cui la Chiesa viene considerata alla stregua di qualunque altro genere di società, non c’è da stupirsi che l’appartenenza ad essa possa venire letta e interpretata in modo analogo.Può essere sintomatico, in tal senso, il giudizio che uno studioso come Charles Taylor dà della possibilità di appartenenza religiosa nell’epoca attuale, che il noto filosofo canadese definisce dell’autenticità o 'espressivista', in quanto ciascuno sente di dovere e poter esprimere se stesso; un’epoca che, proprio per questo, indurrebbe a un tipo di appartenenza religiosa che egli definisce postdurkheimiana, diversa dal genere di appartenenze tipiche di epoche passate, da lui invece definite paleodurkheimiana e neodurkheimiana. Dice esplicitamente Taylor: «Proprio come, nel mondo neodurkheimiano, l’adesione a una Chiesa a cui non si credeva appariva non solo sbagliata ma addirittura assurda, contraddittoria, altrettanto assurda appare, nell’epoca postdurkheimiana, l’idea di aderire ad una spiritualità che non si presenti come la tua via, la via che ti motiva e che ti ispira. […] L’ingiunzione quindi è, per usare le parole a un festival New Age: 'Accettate solo ciò che suona vero al vostro sé interiore'». In altri termini, se in epoche del recente passato l’appartenenza a una 'Chiesa' era dettata da una adesione convinta a quella 'Chiesa', dopodiché si accettava tutto quanto in quella confessione religiosa si proponeva di credere, oggi saremmo in un tempo diverso perché, non solo si intende aderire liberamente ad una 'Chiesa', ma si ha la pretesa di decidere in proprio la spiritualità da abbracciare e il percorso da imboccare per perseguirla. È evidente che, quando si intenda mettere a tema l’appartenenza ecclesiale, non si può né si deve troppo superficialmente oltrepassare questo primo livello di considerazione e riflessione. La Chiesa è anche una società, al pari di altre comunità o società e risente, pertanto, dei 'meccanismi' che caratterizzano le altre appartenenze, nelle diverse epoche in cui esse si realizzano.Ciò può essere peraltro utile a considerare come anche l’appartenenza ecclesiale potrebbe essere percepita e vissuta da taluni, oggi, in maniera fluttuante, mai assunta in maniera convinta e definitiva, capace di coniugarsi con altre appartenenze, magari antitetiche. Ciò può essere utile, inoltre, a comprendere come l’appartenenza ecclesiale possa anche portare a un atteggiamento esattamente contrario, ovvero a una appartenenza di tipo rigido e fanatico, tendenzialmente esclusiva non solo di altri tipi di appartenenze, ma anche di altri modi in cui, nella stessa Chiesa, si potrebbe vivere e percepire l’appartenenza. Infatti, fragilità e fluttuazione dell’appartenenza e appartenenza rigida e tendenzialmente fanatica possono, alla fine, essere le due facce di una stessa medaglia. Nell’epoca della crisi delle identità, dell’espressivismo e dell’autenticità, si può vivere un’appartenenza ecclesiale fluida, intermittente e debole oppure si può affrontare la medesima situazione con l’opzione esattamente inversa: quella consistente nell’assumere un’appartenenza al proprio gruppo ecclesiale, al proprio movimento, alla propria 'esperienza' come se fossero l’unica modalità di appartenenza possibile per essere Chiesa; e quella consistente nel trovare nella Chiesa o in una sua espressione un rifugio e una sicurezza, tanto più ricercati, quanto più si abita, appunto, una 'società dell’incertezza'.Ciò che occorre ancora una volta richiamare è che interpretare quella ecclesiale in questi termini significa pensarla al pari di qualunque altra appartenenza, come semplice effetto della scelta individuale dei singoli. Cosa indubbiamente reale, che va dunque sempre considerata; ma cosa, al tempo stesso, parziale e incapace di far cogliere tutta la singolarità dell’appartenenza alla Chiesa [...]. Si è troppo propensi, infatti, a parlare di libertà come di qualcosa che non solo ci renderebbe giustamente autonomi, ma come qualcosa che ci farebbe indipendenti da tutto e da tutti. In verità, noi siamo autonomi, ma non indipendenti. Le nostre libertà sono sempre inserite in un mondo che ci precede e senza il quale sarebbero impossibilitate ad essere. Il dinamismo dell’appartenenza ecclesiale lo richiama e in un modo singolare: il fatto di essere diventati Chiesa rende ancora più evidente che siamo dei chiamati e che la nostra adesione libera è, in verità, una risposta libera. Si potrebbe rintracciare il punto teologico nevralgico di un tale dinamismo nei termini seguenti: l’appartenenza alla Chiesa non può essere l’auto-produzione del cristiano; essa è dono di Cristo nello Spirito. Ciò a cui mira, però, tale dono è la conformazione del cristiano a Cristo, dunque il renderlo libero e attivo, grazie alla partecipazione della libertà e dell’attività di Cristo, riconducibile all’esserci-per-altri [...]. L’appartenenza ecclesiale non è una realtà statica, bensì strutturalmente dinamica. Si diventa, infatti, cristiani e si viene ad appartenere alla Chiesa in forza dell’azione dello Spirito che rende presente Cristo. Essi, a ben considerare, sono realtà che dicono l’irrevocabilità del dono di Dio e, dunque, il fatto che l’appartenenza ecclesiale non è cosa che possa essere compromessa in radice, dalle nostre chiusure, dai nostri mutamenti e persino dal nostro peccato [...].La piena appartenenza ecclesiale la si ha, oggettivamente, là dove è possibile celebrare l’Eucaristia. Lì, in modo pieno, si ha Chiesa; e lì, in modo pieno si ha possibile appartenenza ecclesiale. Ma questo significa, da parte del cristiano che appartiene alla Chiesa, che la sua appartenenza non è qualcosa che può venire data per scontata; è realtà che va alimentata nella continua recezione del dono di Cristo nel suo corpo che, se è irrevocabile, rimane tuttavia inesauribile. È qualcosa di cui non si può sapere in anticipo, pertanto, tutti i possibili sviluppi, in se stessi e nella Chiesa di cui si è parte e a cui si appartiene. Q uesto tratto può risultare molto utile a cogliere l’istanza di grande attenzione al sentimento che, con tutta la sua mutevolezza, caratterizza l’uomo di oggi, anche nelle sue appartenenze: poiché mette in evidenza i mutamenti che realmente ci possono essere in un cristiano. Al contempo, però, per la pazienza che il regolare ritornare settimanale alla recezione del dono richiede, tale tratto può risultare anche educativo e critico rispetto all’idea che l’appartenenza debba essere misurata solo su quel che 'si sente', senza mai mettere in discussione il fatto che anche i sentimenti chiedono, per essere autenticamente umani, di essere verificati e 'gerarchizzati'. Un secondo aspetto dell’appartenenza ecclesiale è il fatto che essa non può mai essere settaria, bensì strutturalmente aperta. Infatti, essa ha la sua sorgente, come mostrato, nell’offerta di Cristo. Una offerta che è rivolta a ciascuno e che intende raggiungere tutti. Questa offerta, dunque, fonda una appartenenza alla Chiesa, comunità di quanti hanno accolto questo dono, che non può venire pensata in modo settario e chiuso. Si tratta di una appartenenza che, al contrario, impone una attenzione e una prossimità a tutto quanto è umano, poiché non c’è nulla di umano a cui non voglia giungere il dono di Cristo. Anche in tal senso, la singolarità dell’appartenenza ecclesiale può offrirsi come istanza critica rispetto a ogni tentativo che potrebbe darsi, nell’epoca contemporanea, di cercare nella Chiesa un 'rifugio caldo' e comodo o una sorgente di identità che crea, però, steccati e incapacità di dialogo rispetto a quanti non sono Chiesa. Infine, non si può non richiamare il fatto che, dal momento che l’appartenenza ecclesiale non è riducibile alla scelta e alla decisione di ciascuno, ma è dovuta al dono di Cristo nello Spirito, essa porta insita in sé il richiamo costante proprio alla trascendenza di Cristo e al multiforme modo in cui egli si rende presente nei cristiani e questi si aprono a Lui. Di conseguenza, nessuna modalità data potrà mai vantare la pretesa di esaurire l’appartenenza ecclesiale. Essa deve sempre essere aperta ad altre modalità; e, d’altro canto, ciascuna è modalità di appartenenza autenticamente ecclesiale solo se e nella misura in cui è aperta ad altre, non vantando la pretesa di 'accaparrare' il dono di Cristo. Anche questo potrebbe essere un tratto particolarmente illuminante oggi, dal momento che l’appartenenza ecclesiale potrebbe essere segnata dall’attuale crisi di identità e potrebbe perciò essere vissuta quale appartenenza dal carattere fanatico e rigido; con tratti di esclusione, non solo verso chi non è cristiano, ma addirittura verso chi, cristiano come noi, vive la sua appartenenza ecclesiale in modi diversi dai nostri.