Due milioni di dischi venduti, prime pagine dei giornali e programmi tv, viaggi nel mondo. È il bilancio del primo album firmato The Priests ovvero "i preti", Padre Martin O’Hagan, Padre Eugene O’Hagan e Padre David Delargy. Tre sacerdoti irlandesi etichettati come «nuove star» della musica ed ora al secondo cd: intitolato
Harmony, fra Bach e
Silent Night, un canto di pace per le due Irlande e il
Benedictus per le vittime in Kosovo. Ma al di là di un chiaro talento, viene da chiedersi se il successo non abbia dato fastidio alla loro missione. Specie dopo aver letto che persino in vacanza li fermano i fan. Ma la loro risposta fuga i dubbi. «Occasioni di incontrare l’uomo: e se cercassero una firma per capire qualcosa del nostro ministero? Quando ci chiedono foto e autografi, noi ci fermiamo. A parlare e pregare con chi ce li chiede. Usiamo questi incontri per capire gli altri, e raccontargli Dio».
Quando avete presentato il primo disco l’obiettivo era «evangelizzare in musica». Ci siete riusciti?Senza presunzione diremmo di sì. Nella misura in cui viaggiare ci ha portato ad incontrare tante persone in cerca di una via. A volte anche in attesa di un’ultima spinta per tornare alla Chiesa.
E la vostra missione non ne ha proprio risentito?No. Sa, il contratto con Sony prevedeva apposta la priorità all’impegno pastorale. Siamo parroci, lavoriamo al tribunale ecclesiastico. La promozione si fa quando e se si può. Nel 2008, per intenderci, vi abbiamo dedicato un giorno a settimana.
Il vostro vescovo non giudica che sia già troppo?No, ne è felice, considera questa nostra attività proprio un’estensione del ministero. Un agire in una "parrocchia" più grande. E raccogliendo fondi: con la nostra Fondazione aiutiamo enti assistenziali, ciechi, missionari, scuole in paesi poveri.
Nel vostro secondo disco avete anche composto, e scelto brani legati all’oggi. Sentivate nuovi doveri?Sicuramente. Ci è parso necessario dare messaggi di speranza, gioia, serenità anche guardando ai giorni nostri. E musicando le parole di un santo irlandese del sesto secolo abbiamo provato ulteriormente a dare senso al nostro dono della musica: per dire a tutti che anche nelle difficoltà Lui, «Re dei re», ci aiuta sempre. È nostro Padre, e protegge i Suoi figli.
Ma la gente del Duemila vi ascolta pure se parlate di serenità interiore, o accettazione della morte?Crediamo ci sia necessità, in questo mondo secolare, di tali concetti. Ci sono guerre, la morte è un limite della nostra possibilità di capire e perciò fa paura. Però abbiamo visto che la gente ha proprio voglia, di parole che spingano oltre questi limiti. Insomma, sentiamo nella gente voglia di fede.