Un gigante del XX secolo. La cui grandezza risalta ancor più in quest’epoca di archi star la cui fama è alimentata dal circo massmediale: Oscar Niemeyer ha vissuto con uno stile differente, ancorato a un’epoca che ancora non conosceva i vezzi e i vizi dell’effimero. Nato il 15 dicembre del 1907 a Rio de Janeiro, avrebbe compiuto tra pochi giorni 105 anni: ma se n’è andato l’altro ieri. Ha raggiunto ben altri record nel corso della sua vita lunga più di un secolo. Il suo nome resterà legato alla città di Brasilia, che progettò ex novo insieme con l’amico Lucio Costa. Questo, urbanista, della nuova capitale carioca ha individuato i tracciati e le partizioni sul terreno libero accanto al fiume Paranoá, mentre Niemeyer ha firmato le sue architetture: i palazzi del governo, la biblioteca, l’auditorium, la cattedrale... Malgrado la loro mole, edifici che danno un senso di leggerezza, di slancio, di un’eleganza al di fuori delle mode. «Apparteneva a una generazione lontana – così lo ricorda Marco Romano, filosofo estetico di progettazione urbana –. Compì i suoi studi all’inizio del secolo, quando ancora si leggevano i testi dei maestri classici, come il Vignola, e si imparava a costruire seguendo proporzioni, ritmi, ordini, stili. Così, quando il Moderno e il Razionalismo hanno introdotto la purezza tecnica derivante dall’uso dei nuovi materiali (acciaio, vetro, cemento armato), persone come Niemeyer mantennero la capacità di immaginare spazi e volumi il cui disegno è radicato nei canoni architettonici tradizionali». Basta pensare allo stabilimento della Mondadori a Segrate, il più noto progetto di Niemeyer realizzato in Italia, col suo lungo colonnato che scandisce con precisione la lunghezza del volume sospeso, secondo un’invenzione strutturale che compagina la lezione classica con la tecnologia contemporanea. Poche parole esprimono il "credo" del maestro brasiliano: amico di Le Corbusier com’era, pur inoltratosi sulla strada del "moderno" assunto come inevitabile linguaggio del progettare per trarre il massimo vantaggio dalle tecniche contemporanee, affermava di non credere «negli angoli retti e neppure nella linea diritta, dura inflessibile». «Quello che mi attrae - scrisse - sono le curve libere e flessuose che trovo nei monti del mio paese e nel corso dei fiumi...». Questo approccio progettuale demarca Brasilia e fa sì che in essa (pur con tutti i problemi che gravano su di una struttura urbana concepita per l’automobile e non per l’abitare umano), si riconosca un afflato di bellezza che la rende una delle icone del XX secolo. Se sul piano disciplinare Niemeyer è segnato dalla tradizione classica che ne fa un mondo "a parte" nell’epoca delle eccessive semplificazioni (o degli eccessivi esibizionismi), anche sul piano umano ha rappresentato una figura particolare: era comunista nel senso idealista, convinto assertore delle aspirazioni di giustizia ed equanimità. E tra i suoi primi e più importanti progetti c’è una chiesa. Piccola, non appariscente come la cattedrale di Brasilia, ma assai significativa: San Francesco d’Assisi, nel nuovo quartiere di Pampuhla, voluto alla fine degli anni ’30 dal sindaco di Belo Horizonte, Juscelino Kubitschek de Oliveira (colui che poi, quando diventò presidente dei Brasile, decise di affidare a Niemeyer il progetto della nuova capitale). La chiesa fu realizzata nel 1942 e nelle sue linee si ravvisa un messaggio profetico, ancor oggi attuale. Qui il cemento armato, croce e delizia della progettazione contemporanea, tocca vette espressive difficilmente eguagliabili: due facciate ondulate con andamento parabolico, l’una verso lo specchio d’acqua, l’altro verso l’interno. La prima trasparente, la seconda a maiolica pitturata in modo angelico con immagini di san Francesco. E il campanile che si erge leggero dilatandosi verso l’alto, come la corolla di una calla: linee di organica movenza unite dal taglio orizzontale della pensilina che funge da nartece aperto e compone un insieme di forte dinamismo. La chiesa non piacque: fu consacrata solo alla fine degli anni ’50. Tra le altre opere di Niemeyer: la partecipazione con Le Corbusier al progetto del palazzo di Vetro dell’Onu a New York, il museo di arte contemporanea di Niterói (in forma di grande calice su di un esile stelo), l’Auditorium di Ravello, inaugurato tre anni fa, il Centro culturale a lui stesso intitolato, costruito ad Avilés in Asturia (Spagna) come una grande piazza fiancheggiata da lunghi porticati curvilinei, da edifici che sorgono come onde dal suolo, da vetrate, inaugurato nel 2011. Progettò fino alla fine della sua esistenza terrena e, se la sua vita è confrontabile con le sue opere, la si può ben dire felice.
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