Tutti conosciamo la regola d’oro del diritto penale, che dice così: «Nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale». In altre parole: non è ammessa l’ignoranza della legge come scusa per non essere puniti. Perciò spesso viviamo nella sottile incertezza, pensando alla possibilità che forse stiamo infrangendo una legge di cui non immaginiamo nemmeno l’esistenza. Un principio che viene dal diritto romano, giunge al Codice Rocco del 1930 e arriva indenne fino al 23 marzo del 1988. Quel giorno la Corte Costituzionale emette una sentenza che fra i giuristi è ormai celebre, la numero 364/1988. Con una dissertazione a tratti filosofica, e a tratti incomprensibile, lunga quasi 13.000 parole, come certi dialoghi di Platone, la Corte giunge alla lapidaria conclusione che «riuniti i giudizi, dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 c.p. nel- la parte in cui non esclude dall’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale l’ignoranza inevitabile». Chiaro, no? Esatto, significa proprio quello: vista l’eccessiva proliferazione di norme e leggi, spesso incomprensibili se non addirittura contraddittorie, è concessa, in certi casi, l’ignoranza della legge. L’ignoranza inevitabile, per la precisione. Vale la pena però leggere un passaggio della sentenza, perché è illuminante: «Va, infine, ricordato che, come rilevato da recente dottrina, il principio dell’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale, concepito nella sua assolutezza, non trova neppure convincente sistemazione dommatica. Escluso che possa prospettarsi l’esistenza d’un 'dovere autonomo di conoscenza' della legge penale (ne mancherebbe, fra l’altro, la relativa sanzione) anche le tesi della presunzione
iuris et de iure e della 'finzione' di conoscenza della legge penale (a parte la considerazione che le medesime, mentre ritengono essenziale al reato la coscienza dell’antigiuridicità del comportamento criminoso, 'presumono', in fatto, ciò che assumono essenziale in teoria) s’inseriscono in un contesto che parte dall’opposto principio dell’essenzialità al reato della coscienza dell’illiceità e, pertanto, della 'scusabilità' dell’ignoranza della legge penale». Va da sé che la nuova formulazione dell’articolo 5, argomentata in modo così cristallino dalla Corte Costituzionale è la seguente: «L’ignoranza della legge penale non scusa tranne che si tratti d’ignoranza inevitabile». Buon lavoro dunque all’Università di Pavia e al Senato per il loro master. Ne abbiamo bisogno.
Guido Bosticco © RIPRODUZIONE RISERVATA