Due fiamme bianche per capelli, volto e sguardo affilati, due mani grandi e nervose. L’immagine di Jean Guillou corrisponde alla sua musica visionaria e al suo virtuosismo d’interprete. Guillou, nato nel 1930 e dal 1963 titolare della tribuna di St. Eustache a Parigi, è l’ultimo dei grandi compositori organisti francesi del Novecento, un gruppo che può vantare nomi come Messiaen, Alain e Langlais. E uno dei maggiori interpreti del «re degli strumenti ». Guillou compositore e strumentista sarà protagonista stasera a Loreto, nel santuario della Santa Casa, di un concerto con in programma brani suoi, di Händel e di Liszt.
Maestro, quando è stato il suo primo impatto con l’organo? Ad Angers, la mia città natale. Avevo 11 anni. Salii alla tribuna dell’organo da solo ed ebbi la sensazione di trovarmi davanti a una sorta di mostro. Vedevo solo le tastiere, la fila delle canne di facciata. Ma il suono che ne usciva dalla pancia era un mistero, aveva qualcosa di magico.
Lei a Parigi ha avuto come maestri Dupré e Messiaen. Che ricordi ne ha? Il ricordo più forte è quello di Dupré, con cui studiai organo. Da lui ho appreso l’impor- tanza di una tecnica saldissima, premessa necessaria per l’interpretazione, che è invece personale. Ai miei allievi non ho mai spiegato come suonare un passaggio ma ho sempre insegnato a pensare la partitura e al modo migliore per far arrivare al pubblico la bellezza della musica. Con Messiaen ho studiato analisi. È stato il mio vero maestro di composizione, da lui ho imparato a entrare nei segreti dei capolavori.
Nelle sue opere l’organo si accompagna spesso ad altri strumenti. Per quale motivo? Ho cercato di individuare strade future per lo strumento. Storicamente è stato solista o accompagnatore. Nella mia musica ho cercato di farlo dialogare: nei Concerti con l’orchestra, in inedita dimensione cameristica con il pianoforte, il violino, il clarinetto, la tromba... persino con la marimba e il flauto di pan.
Come sarà l’organo del futuro? L’avvenire dell’organo non è nella monumentalità ma in un ritorno all’essenziale. E deve tornare in mezzo alla gente, come nell’antica Grecia. Ho progettato uno strumento a un tempo ricco e mobile. Si tratta dell’«Organo a Struttura Variabile», a cui sto lavorando da 25 anni. Uno strumento da concerto a quattro tastiere composto da molti corpi dislocati nello spazio facilmente trasportabili. Un’idea all’avanguardia, per la quale in Europa sembra impossibile trovare finanziamenti. Molte però delle nuove soluzioni le ho riversate negli organi che ho progettato come quello che ho realizzato con Mascioni nel 2008 a Roma per la chiesa dei Portoghesi e quello dell’Auditorium di Tenerife, che può essere suonato in contemporanea da nove organisti.
L’organo è destinato quindi a uscire dalle chiese? Anche se oggi la Chiesa non è più interessata alla musica come un tempo, l’organo resisterà. È vero però che nelle sale da concerto l’organo ha una nuova vita. In Giappone tutti gli auditorium delle città più importanti hanno un organo. In Cina è presente nelle sale di Shangai e Pechino. E di recente ho avuto allievi cinesi, tra cui una ragazza, forse forse la prima organista cinese al mondo.