Tornerà a Goethe per spiegare la fragilità dei potenti di oggi, e di sempre. Con il
Faust chiuderà la tetralogia del potere, iniziata con
Moloch, e proseguita con
Taurus e
Il Sole. «L’ho già girato, sto facendo il suono, l’ultima fase della postproduzione, e durerà 130 minuti. Molto probabilmente – rivela –, andrà a Cannes, ma ovviamente prima devono sceglierlo. Si tratta della figura descritta principalmente da Goethe, professore universitario, colto, che, preso dalla passione e dal desiderio di possesso, compie dei crimini, innanzitutto morali». L’annuncio di Aleksandr Sokurov viene dal Tertio Millennium Film Fest, a Roma, dove ha presentato
Intonazii (Intonazioni) un ciclo di documentari- interviste commissionato dalla tv russa. Un viaggio attraverso le parole di alcune figure-chiave della Russia di oggi: artisti, studiosi, boiardi di Stato, che squarciano il velo sulla cultura, la storia, il futuro, come (ma in tutt’altra forma) avveniva ne
L’arca russa. Anche qui, come sempre, in Sokurov, il soggetto è il pensiero. L’oggetto, il potere.
Che significato hanno questi documentari/interviste nel suo percorso umano e artistico? «Innanzitutto sono una persona che vive nella società russa di oggi. Non in una torre d’avorio. Da sempre e in ogni cosa mi interessa l’uomo. Nel caso di Intonazioni si tratta degli uomini dalle cui azioni pratiche dipende, molto, la vita della società intera. Attraverso la conversazione con queste persone cerco di comprendere e di portare allo spettatore il loro modo di pensare. Riprendere e mostrare le persone della nostra epoca in tutta la pienezza, lo può fare solo il cinema. È la sua testimonianza».
Al presidente della Corte costituzionale, Valerij Zor’kin, chiede: «In che Stato viviamo noi? Capitalista o cosa? Cosa abbiamo noi in Russia?». Che risposta si è dato Sokurov? «In Russia il socialismo non è stato annientato definitivamente, anzi. E non ci sono le caratteristiche del capitalismo, ma proprio nessuna. La Russia oggi è un vagare caotico».
In un’altra intervista, il presidente delle Ferrovie russe Valdimir Yakunin le parla di una lotta condotta nel passato contro la Chiesa ortodossa e la fede, mentre di nascosto il popolo battezzava i figli. Qual è il posto della fede nella Russia di oggi? «Purtroppo, non è stato possibile fissarlo. Il popolo in Russia ha cambiato molto spesso il proprio rapporto con la fede e la Chiesa. Durante gli anni sovietici il popolo ha tradito la propria religione e la propria fede. Oggi la Chiesa ortodossa vive un periodo difficile a causa della tentazione di caricarsi di varie proprietà restituite. Questo desta una forte preoccupazione, perché la Chiesa non è una fabbrica del tempo».
Il suo cinema è intriso di un senso del sacro, nella natura e nei rapporti umani: una spiritualità che sembra, come anche la cultura, poco considerata nel mondo occidentale attuale. Pensa sia così? «In parte. La vita contemporanea più che intrisa sembra trafitta dalla lotta tra il pragmatismo e la spiritualità come tanti anni fa. Ma la società di oggi, tutta, anche in Asia, non riesce a trovare una spiegazione morale del progresso tecnico e scientifico. Anche la religione viene distanziata: ma non deve nascondersi nelle chiese, deve vivere della gente, nella vita reale. Dobbiamo uscire dai templi».
Dopo «Madre e figlio» e «Padre e figlio», la trilogia si dovrebbe chiudere con il prossimo «Due fratelli e sorella»... «Rifletto da tanto su questo progetto. Penso che la storia si svolgerà oltre i confini della famiglia come tale e accadrà più nel contesto delle manifestazioni dei caratteri umani».
Nella Trilogia del potere e in «Alexandra » sembra che il suo sguardo si sia rivolto alla vicende storiche (le dittature, la Cecenia) ma senza dimenticare il lato più intimo e umano dei protagonisti. Di Hitler, Lenin e Hirohito ha detto che le interessava mostrare «come coloro che avevano delle personalità eccezionali sono stati condizionati dalle passioni e dalle fragilità umane»… «Certo, i protagonisti della storia mi interessano perché noi dipendiamo molto da coloro che hanno il potere, che non ha natura divina. L’oggetto delle mie riflessioni riguarda soprattutto la natura del potere come manifestazione della volontà e del carattere umano. Ma chi sono questi uomini? Il potere viene accettato dalle persone che hanno dei grandi problemi nell’autorealizzarsi, smaniosi di prendersi una rivincita. L’uomo al potere è un uomo profondamente infelice, è condannato alla solitudine ed è privato dal privilegio della penitenza, gli rimane soltanto il privilegio di essere punito. Inevitabilmente».
Cosa pensa delle rivelazioni di Wikileaks, proprio sul lato più personale dei potenti di oggi? «Credo che le denunce via rete in realtà non reggano la concorrenza con i soggetti di Shakespeare».