venerdì 13 maggio 2016
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«Allora non è facile fare una poesia? / non basta prendere un pezzo di carta / e una matita?». Una matita, non una penna, basta alla musa profondamente semplice di Vivian Lamarque. Nella sua poesia ci si aspetta di trovare la rima «più antica difficile del mondo»: e invece non appare, mentre al suo posto si incontra qualche dissonanza, qualche improvviso scarto dal tono di colloquio gentile che ha sempre instaurato con i lettori. Perché, soprattutto in questo nuovo libro che è forse il suo più autobiografico, Lamarque ci mostra come la sua musa scherzosa e leggera, che le ha sempre permesso di creare testi accoglienti come filastrocche, in realtà ispira contenuti che proprio leggeri non sono. Qualche segnale importante ce lo dà il titolo. La presenza materna, con la sua forza segreta e la sua carica di ricordi dolorosi, segna l’intero libro. C’è anche l’inverno accanto a lei, simbolo di sospensione e assenza. Nelle prime due sequenze di testi, infatti, “Poesie ospedaliere” e “Ritratto con neve”, si snoda il racconto di una fine lenta e sofferta, di un addio lungo alla presenza familiare più vicina, più amata, la presenza materna. Ma la morte non porta via tutto. Il viaggio della vita assume la forma di un avvicinamento al proprio inizio, alla parte più inconsapevole di sé, con la quale affrontare l’ignoto percorso vedendone il lato amichevole. Per questo il racconto della perdita definitiva è all’inizio, ma dopo di esso riaffiorano ricordi sorprendenti, che permettono a noi, lettori che credevamo di conoscere l’autrice, di avvicinarci di più. Di scoprire, per esempio, che le madri di Vivian erano due, l’una sempre presente e l’altra, chiamata «la madre altra» o «la madre bio- logica», sempre assente o distratta, in ogni caso distante, e che in due modi ben diversi queste due madri hanno segnato la sua vita. E anche se sono svanite proprio come la neve alla fine dell’inverno, in realtà sono rimaste, e ora sono sulla pagina, come nel cuore. In questo giardino familiare l’autrice invita a entrare anche noi. Ne allarga i confini, includendo nel suo mondo aggraziato gli amici più cari, che sfilano nella sezione delle dediche, e poi ancora i «vecchini che cadono » come i bambini e come loro sono aiutati a rialzarsi, e i gatti, e le cicatrici come ricami «metallici precisi / delicati», e insomma tutto ciò che contribuisce a muovere la sua esperienza. La poesia per Vivian Lamarque è dunque un esercizio per descrivere, per raccontare, per ricordare. Ma è anche il suo contrario: è un esercizio per dimenticare, per affinare l’arte di svanire a poco a poco dal mondo, o almeno di allontanarsi con discrezione dalle zone più affollate, dove la calca potrebbe diventare insostenibile. Alla poesia Lamarque ha affidato un ruolo importante, ha creduto fino in fondo nel suo potere per tutta la vita. Per questo la sua poesia è angelica e ironica, è in grado di proporre tristezza e tragedia con la delicatezza di un dono. Non è un caso, quindi, che «preferisca Szymborska » che alla vita dice «sei bella», come dichiara due volte in altrettante poesie dedicate: della grande poetessa polacca Vivian Lamarque condivide il dolce umorismo e lo sguardo sorridente sul mondo: le qualità più rare e preziose. © RIPRODUZIONE RISERVATA Vivian Lamarque MADRE D’INVERNO Mondadori. Pagine 142. Euro 19,00 L’autrice invita il lettore a entrare nel suo mondo dove ci sono i «vecchini che cadono» come i bambini, e come loro sono aiutati a rialzarsi
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