Personaggi fragili, perdenti secondo il giudizio comune, alla disperata ricerca di un posto nel mondo capace di accoglierli, di qualcuno in grado di amarli. Uomini in cerca di donne, figli, padri, in un’America da attraversare con passo incerto, forse, ma con lo sguardo teso a scoprire l’invisibile.Il regista americano Alexander Payne torna per la quarta volta nella sua terra natale, dal quale il successo hollywoodiano non è riuscito a strapparlo, per girare un nuovo road movie,
Nebraska (in sala da giovedì), che a Cannes ha regalato il premio come migliore attore protagonista all’anziano Bruce Dern, ulteriore conferma che il cinema di oggi ha riscoperto tutto il fascino degli ultrasettantenni.Capelli arruffati, camminata sghemba, testa chissà dove, Dern, nei panni di Woody Grant, è convinto di aver vinto un milione di dollari a una lotteria e si mette in cammino per andare a riscuotere il premio. Preoccupato, suo figlio decide di accompagnarlo, sperando nel frattempo di riuscire a convincerlo che si tratta di un equivoco, di una truffa. Ma il vecchio e confuso Woody crede a quello che gli viene detto e così i due, padre e figlio, iniziano un viaggio tra paesaggi vasti, desolati, e in bianco nero, il colore dei film di Kurosawa che Payne tanto ama.«Quei paesaggi che vedete sullo schermo – ci ha raccontato il regista – e che di solito si attraversano velocemente per andare altrove, hanno molto in comune con lo stato d’animo dei personaggi. Il bianco e nero era d’obbligo con una storia come questa. E poi il novanta per cento dei film che rivedo sono in bianco e nero e non sarei un regista che si rispetti senza includerne anche io uno nella mia filmografia». E a proposito del protagonista aggiunge: «L’ho conosciuto grazie a sua figlia Laura e l’ho scelto anche per la sua capigliatura, che lo fa assomigliare a un vecchio cagnone. Warren Beatty avrebbe tanto voluto questo ruolo, ma lui è decisamente troppo bello, mentre sarebbe stato perfetto per Henry Fonda. Adoro dirigere gli attori del cinema americano anni Settanta, dal quale ho imparato moltissimo, lavorare sul loro modo di muoversi e di camminare».Le avventure umane on the road, dicevamo, fanno parte del dna del cinema di Payne, che ci ha raccontato i viaggi di Jack Nicholson in
A proposito di Smith, quello di Paul Giammatti in
Sideways e quello di George Clooney in
Paradiso amaro. Questa volta in ballo c’è la dignità che un figlio vorrebbe restituire al suo anziano padre, il rispetto per un uomo quasi sconosciuto, ma ricco di esperienza da condividere. Il viaggio diventa dunque l’occasione per scoprire il passato del genitore, le sue speranze giovanili, i suoi sogni, le sue delusioni, ma anche per incontrare una serie di bislacchi personaggi di un’America lontana, rurale e di provincia, uomini e donne a volte teneri, altre volte meschini e inconsapevolmente feroci. E Payne, selezionando tanti attori non professionisti, presi dalla strada e dalle fattorie locali, i cui provini sono stati affidati a figli e nipoti muniti di telefonini e tablet, dimostra il proprio talento nel riportare sullo schermo con umorismo e malinconica la verità di luoghi, atmosfere e situazioni umane, la poetica banalità di piccoli gesti quotidiani dietro i quali si cela però una grande ricchezza umana.«Molti di noi – continua il regista – potrebbero raccontare le proprie esperienze con i rispettivi padri, uomini amabili, gentili, ma spesso come appartenenti a un altro pianeta, remoto e misterioso. Mio padre ad esempio era al tempo stesso molto comunicativo, ma anche sconosciuto. Il mio film è un affettuoso omaggio a tutti loro».