sabato 2 novembre 2024
Esce ora in Italia la biografia del pensatore francese, un lavoro per temi che affronta anche le sorti del cattolicesimo, la scienza e la concezione dell’avvenire
Ernest Renannegli anni settanta dell’Ottocento, in una fotografiadi Adam-Salomon

Ernest Renannegli anni settanta dell’Ottocento, in una fotografiadi Adam-Salomon - WikiCommons

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Pubblicato da Gallimard nella primavera del 2017, arriva al pubblico italiano in questi giorni il libro dello storico francese François Hartog La nazione, la religione, l’avvenire. Sulle tracce di Ernest Renan (traduzione e cura di Francesco Mores, Raffaello Cortina Editore, pagine 139, euro 18,00). Alzando il riflettore sull’autore – noto per una Vita di Gesù che fece scandalo (e per avere definito Cristo al Collège de France nel 1862 «un uomo incomparabile»), come autorevole corifeo della Terza Repubblica (nonostante la tardiva adesione) nonché come discusso teorico di un razzismo su base culturale (e non biologica) che differenzia civiltà ariana e semitica –, Hartog in queste pagine intraprende un viaggio prolungando la sua matura riflessione sull’esperienza della temporalità in Occidente (dove prevale il rifiuto della memoria e dell’utopia circa il futuro), nella quale Renan – per il quale l’uomo può essere signore del tempo o del proprio avvenire (forse questa per la Chiesa del XIX secolo la sua colpa più grave) – occupa un posto di rilievo.

Un viaggio non strettamente cronologico, piuttosto tematico, quello qui compiuto da Hartog: con parecchie soste e non pochi ritorni in compagnia del filologo, storico, linguista, epigrafista, autore persino di pièces, che sia per i suoi estimatori che per i suoi detrattori ha finito per incarnare il mondo moderno. Andando dietro Renan, l’autore ne recupera tasselli biografici di rilievo sbalzandoli dai due principali luoghi in cui visse e lavorò – ovvero Tréguier, la cittadina della Côtes-d’Armor dove nacque nel 1823 e rimase sino all’adolescenza, poi Parigi, dove arrivò come giovane borsista nel 1838 e visse fino alla morte nel 1892. Quindi associa ambienti e contesti alle domande poste da Renan (sovente rimaste senza risposte esaustive) elaborando il suo pensiero attorno ai tre concetti indicati già nel titolo: la nazione, la religione, l’avvenire. Un grande lavoro di scandaglio per il quale l’ex direttore degli studi dell’École des hautes études en sciences sociales, si avvale delle sue precedenti ricerche sui “regimi di storicità” (i modi in cui una società tratta il proprio passato), nonché sulla “condizione presentista” (con il presente sempre più invadente, quasi unico orizzonte che cancella passato e futuro). Un lavoro reso interessante proprio per l’invito costante di Hartog, a seguire insieme a Renan il suo modo di coniugare scienza, religione e filosofia (grazie al filo conduttore dei suoi studi di filologia ebraica), come pure la sua maniera di formulare tutte le ipotesi nella ricerca della verità, con l’intento di far progredire l’interrogarsi di chi legge. Nella consapevolezza con Virgilio che mens agitat molem :“la mente muove la massa del mondo”.

Alla tripartizione tematica che costituisce l’architettura del saggio, e che – osserva Francesco Mores nel saggio introduttivo, è il frutto di citazioni spigolate da Hartog dal corpus renaniano sin dal 1988, ma di fatto, sono qui ricapitolate attorno ai nodi più importanti – segue un originale epilogo riferito al purgatorio. Evocato da Renan quale «luogo malinconico e affascinante, dove chi ha qualche debito da scontare sarà ben felice di aspettare». Anche se la vera ultima tappa suggerita da Hartog è quella del pezzo di strada che da Renan arriva a noi. Un itinerario segnato da scarti, rifiuti, dalla persistenza delle grandi domande che lo hanno tenuto impegnato per tutta la vita e ancora ci interpellano facendoci sostare sul suo e il nostro tempo. Sino a renderci conto che se la sua fede nell’avvenire non è più la nostra, quella riguardante la nazione e la religione ci resta sicuramente in eredità. Una nazione che non dipende solo da un’ipotetica comunanza di lingua, territorio, interessi…, essendo sì espressione di volontà – «il plebiscito di tutti i giorni» –, ma pure «un principio spirituale» rivolto al presente e al futuro, e insieme, proteso al passato. L’uomo, sottolinea Renan, «non si improvvisa». La nazione è la casa trasmessaci dai nostri avi e che noi consegniamo ai nostri successori: casa cementata dai sacrifici che sono stati fatti e che dobbiamo essere disposti a rinnovare. Chiara la fiducia di Renan nell’Europa. Chiare le sue denunce profetiche: «Quando la civiltà moderna sarà affondata a causa della fatale ambiguità di queste parole: nazione, nazionalità, razza – scriveva – vorrei che tornassero alla mente le mie pagine».

Sono tesi – queste sulla nazione – più facili a comprendersi se raffrontate a quelle sulla religione al centro della vita di Renan e motore delle sue battaglie. Osserva infatti il pensatore che sfugge le ideologie e intreccia antitetici elementi conservatori e rivoluzionari: «Ognuno crede e pratica come vuole. Non esiste più una religione di Stato; si può essere francesi, inglesi, tedeschi, essendo cattolici, protestanti, ebrei o senza praticare alcuna religione. La religione è diventata una questione individuale, riguarda la coscienza di ciascuno». Venuto meno il ruolo della religione, ecco l’idea di nazione diventare essa stessa religiosa. E continuando la riflessione sulla religione ecco come Renan spiega la resistenza del cattolicesimo, non più però «quello delle Scritture, dei concili e dei teologi» (cioè il suo, prima che lo abbandonasse). Questo ritorno alla Chiesa è avvenuto perché «si sentiva più forte il bisogno di una religione e il cattolicesimo si è trovato a portata di mano […]. Ciò che lo rende così fortunato al giorno d’oggi è che lo si conosce molto poco». Osserva Hartog che questo cattolicesimo tutto formale a cui si ricorre è, di fatto, una conferma della sua ritirata: ne consegue che l’autoproclamata missione di riformatore di Renan è giustificata. Ma è questa la sua ultima parola sull’argomento? No. Essendosi riconfigurato ai suoi occhi come “religione” il «progresso della Ragione, cioè della scienza»: la scienza pronta ad abbracciare tutte le metamorfosi presenti in natura e nella mente degli uomini, capace di moltiplicare i suoi limiti, ma via via di superarli, come unica guida per l’umanità. E, sullo sfondo, ancora l’avvenire, che però – a detta di Renan – sarà della scienza o non sarà.

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