Una confessione a «cuore aperto» su Mussolini «visto da vicino». Questo, in estrema sintesi, il significato delle memorie del 'questore del Duce' a Salò, il colonnello Emilio Bigazzi Capanni, raccolte oltre mezzo secolo fa dallo storico fiorentino Alberto Maria Fortuna, e solo ora venute alla luce.
Nell’articolo di ieri, abbiamo riferito delle rivelazioni di Bigazzi riguardo all’annosa e sempre dibattuta questione del carteggio Churchill-Mussolini, l’epistolario più scottante del Ventesimo secolo. Ma la testimonianza del 'custode' di Mussolini, chiamato nel gennaio del 1944 a organizzare la sicurezza attorno al Capo della Repubblica sociale italiana, è ben più composita e comprende molti aspetti della vicenda del Duce nella fase del suo crepuscolo. A Fortuna, che lo incontrò più volte nel 1960, Bigazzi raccontò, per cominciare, il suo colloquio d’esordio con Mussolini, che lo mandò a chiamare per provvedere al suo servizio di scorta personale: «Il Duce s’informò di me e s’interessò delle mie cose. Infine, testualmente, aggiunse: 'La Polizia non ha mai tradito. Intendo che voi ricostituiate la [squadra] presidenziale e che mi liberiate da questa sovrastruttura militare che mi opprime e che trova migliore impiego sulla Majella'. Infatti, in quei giorni, la guerra si combatteva sulle montagne d’Abruzzo e là voleva, il Duce, che fosse impiegata la Legione 'M' Guardia del Duce, piuttosto che nella 'prigione' di Gargnano. La sovrastruttura militare era però costituita anche da un battaglione di Ss che circondava e sorvegliava il quartier generale della Rsi e che formava come un anello di ferro intorno a Mussolini». Si tocca qui un punto fondamentale, quello della limitata agibilità politica del Mussolini di Salò, nei fatti oppresso da un apparato di vigilanza germanico tendente a controllarlo circoscrivendone la sfera d’azione. L’ex questore Bigazzi, aprendosi a una serie di inedite confessioni, spiega molto bene come il Duce fosse insofferente a quella tutela tedesca che subiva come una spina nel fianco. Ecco, per esempio, che cosa accadde in occasione di una visita compiuta dal dittatore nella sua terra natale, in Romagna, nell’estate del ’44: «Si partì nel tardo pomeriggio del 3 agosto, dopo le sei. Riuscii ad accompagnarlo alla Rocca [delle Caminate], contro la volontà dei tedeschi. Mi ero infatti rifornito di benzina, al mercato nero, e di gomme per la macchina. Le altre automobili furono tutte seminate lungo la strada. I tedeschi, poi, m’impedirono di accompagnarlo in linea, vuotandomi i cassoni della benzina». Non meno interessanti i risvolti del viaggio compiuto da Bigazzi, al seguito del Duce, a Rastenburg, nella Prussia Orientale: la famosa Tana del Lupo. Mussolini e il capo dei suoi pretoriani vi giunsero in treno il 20 luglio 1944, poche ore dopo l’attentato che lasciò tuttavia Hitler incolume. Così l’ex questore ricorda quelle ore drammatiche, in cui si decise la sorte del Terzo Reich: «Un paio di stazioni prima di Rastenburg il treno si fermò e venne dato l’ordine di abbassare le tendine e di non scendere per nessuna ragione, nemmeno arrivati a destinazione. Ma quando fummo a Rastenburg trovammo Hitler ad aspettarci, con tutto il seguito. Il Führer aveva il braccio fasciato. Mancava soltanto Himmler, partito per la repressione». A proposito di Himmler, da lui incontrato in occasione di un altro viaggio in Germania, così riferì a Fortuna: «Aveva una faccia da seminarista e tale poteva anche apparire. Ma, vicini a lui, si avvertiva nei suoi occhi un lampo gelido e scostante». Durante la Rsi, a Bigazzi toccò il compito sgradito di far compiere una perquisizione a Villa Fiordaliso di Gardone, residenza di Claretta Petacci. Lì furono trovate 13 copie fotografiche delle lettere che Mussolini aveva scritto alla sua amante. A Salò, parte dell’ala intransigente di quel regime tramò per eliminare dalla scena la Favorita, ritenuta colpevole di aver instaurato un suo sistema di potere attorno al dittatore. Tra i nemici giurati di Claretta, vi fu la stessa moglie del Duce, Rachele, che organizzò una sorta di 'spedizione punitiva' al domicilio della giovane rivale. A Bigazzi, preso tra due fuochi, non restò che tentare di salvare il salvabile, cercando di evitare che le fazioni contrapposte giungessero a sbranarsi. L’ex capo della squadra presidenziale addetta al Duce, raccontò anche di aver appreso, e riferito al diretto interessato, delle manovre che certi ambienti stavano ordendo per eliminare la Petacci. Tra coloro che stavano preparando il 'colpo di mano', vi era il generale Tommaso Semadini, capo del Servizio politico informativo della Guardia nazionale repubblicana. Quando Mussolini lo seppe, andò su tutte le furie, producendosi in uno sfogo privato che il questore non avrebbe mai più dimenticato: «Anch’io – disse – ho pure il diritto di avere un po’ di quiete, una mia vita personale, un’amica». Poi, quasi a volersi giustificare, elencò una serie di personaggi storici che avevano cercato nella compagnia femminile una divagazione, un rimedio alle asprezze dello scontro politico: Garibaldi, Mazzini, Cavour, Crispi. Infine si scagliò contro quegli uomini che tramavano alle sue spalle: «Non avrei mai pensato che tra gli ufficiali ci fossero dei sicari e dei criminali».