Una mostra di sculture con "stazioni d’ascolto" che i critici d’arte hanno valutato con favore; un libro (
La musica ignorata, edizioni Skira) dalla profondità, su senso ed etica della musica, sconosciuta ai consueti volumi di artisti. E ora addirittura un progetto di tre anni nelle carceri, voluto dalla Siae e patrocinato da Ministero di Grazia e Giustizia e Presidenza della Repubblica. Per la precisione, il progetto
CO2 coinvolge musicisti, educatori e psicologi per dimostrare che la musica può ridare equilibrio e portare a una socialità di valori condivisi; e sperando di lasciare al Ministero un nuovo modo pratico per aiutare chi ha sbagliato, si parte da un test su 40 detenuti nelle carceri di Opera, Monza, Secondigliano e Rebibbia (sezione femminile). Avrete comunque capito che l’indirizzo cui cercare Franco Mussida, ormai, non è più il rock. Già da molti anni più attivo nel CPM, la scuola che ha fondato a Milano, che non come membro della Pfm, ora Mussida svolta in toto. «Ritengo di avere un compito dell’essere artista e uomo e lo voglio svolgere senza limiti. Chi fa musica pare sempre più svuotato mentre lei agisce per riempire, arricchire, avvicinare la gente».
Mussida, cosa c’entra il rock con sculture, libri e il progetto per "controllare l’odio" nelle carceri?«Il punto è che i miei studi di 35 anni mi hanno portato a occuparmi di una musica che definisco ignorata. E che però supera generi e forme, ed è capace di aprire la coscienza e spingere verso un Oltre. Oggi però il musicista, che può orientare l’umore, di solito usa la musica prevalentemente per il piacere di farla; e l’ascoltatore la vive sempre più come sottofondo. Non si ha tempo per elaborarla o specchiarsi emotivamente in essa. È allora necessario andare oltre il mercato, ed impegnare la musica in azioni concrete: unico modo perché la musica promuovano una nuova ecologia dei sentimenti».
Detto in parole più semplici, cosa significa?«Significa non limitare l’arte di far musica, specie quella popolare, all’aspetto ludico o competitivo. Portarla oltre l’arena dei talent o il puro intrattenimento. Però sono argomentazioni difficili da comprendere, per chi si occupa solo di vendere dischi. Quindi mi sono affidato a sculture e ad un libro: mi sono reinventato artista visivo. E l’ho fatto per ribadire i concetti di cui sopra in modo più preciso, senza peraltro rinunciare a fare musica in modo più tradizionale, come nel recente disco per sola chitarra
Il lavoro del musicista immaginativo. La gioia è stata veder riconosciuto l’azzardo di cambiare pelle, per restare musicista davvero».
Quindi anche dentro il progetto "CO2", che prende il titolo da un elemento per respirare ma significa anche «controllare l’odio». In carcere…«Già. Per anni ho sperimentato musica su persone con problemi di dipendenze. Ora la porgeremo a persone senza dipendenze per aiutarli ad aprirsi, a percepire i loro migliori sentimenti. A febbraio l’inizio dei corsi per educatori, a marzo installeremo le stazioni d’ascolto in carcere, poi partirà la sperimentazione. Tramite l’ascolto della musica proveremo a promuovere più tolleranza nei soggetti interessati».
La musica è sempre qualità?«No, però molta lo diventa, se elaborata attraverso un ascolto consapevole, senza farsi prendere dall’uso bulimico dei sentimenti. Evitiamo preconcetti: la malinconia del metallaro che ascolta una ballad dei Metallica non è diversa da quella di chi ascolta un notturno di Chopin; è evocata da identici intervalli che stanno nella musica di tutti i generi. Ora però conta rieducare l’ascolto, poi si vedrà: partiamo dunque con brani strumentali, senza che i testi assorbano attenzione. Ciò che preme adesso è dimostrare che la musica è specchio emozionale, porta a capire noi stessi e di conseguenza gli altri».
Ma nel mercato d’oggi, manca ai musicisti o al pubblico la percezione di tale potenzialità?«Più ai musicisti. Gli adolescenti ce l’hanno. Anche i deejay: anche se usano la forza della musica partendo dalla componente ritmica».
Si può parlare di una sua svolta etica, Mussida?«Dica pure spirituale. L’obiettivo è far riflettere sulla musica come ponte verso il sacro che c’è dentro e intorno a noi. Sul mondo del suono come elemento di vita: che dunque non va sperperato. Con la musica oggi si fa come con l’acqua, la si usa e poi la si getta. Eppure serve per vivere da uomini fra gli uomini».