Il nuovo Museo dell'Opera del Duomo di Firenze - Antonio Quattrone
I musei ecclesiastici sono stati riconosciuti come parte integrante del patrimonio culturale, storico e artistico italiano e quindi del suo sistema di tutela e valorizzazione. Lo stabilisce l’accordo firmato ieri al Ministero dei beni e attività culturali e del turismo dal ministro Dario Franceschini, dal direttore generale dei musei Ugo Soragni e dall’Amei, l’Associazione musei ecclesiastici italiani (che quest’anno celebra i vent’anni dalla fondazione) nella persona del suo presidente Domenica Primerano. L’intesa, ha sottolineato la stessa Primerano, identifica i musei ecclesiastici come «categoria distinta e autonoma proponendoli quali risorsa per il Paese proprio a partire da ciò che li caratterizza e dalla loro particolare missione che ne fa, attraverso la bellezza, dei poli di riflessione e di avvicinamento alla dimensione spirituale». Per il ministro Franceschini «non si tratta di un semplice fatto formale ma di un’intesa che giunge dopo anni di lavoro, tappa importante verso la creazione del Sistema museale nazionale. Un sistema integrato dal punto di vista della valorizzazione e della promozione».
Quanti sono i musei ecclesiastici italiani?
L’idea di fondo, ha precisato Soragni, è di avviare iniziative strategiche per favorire la partecipazione della rete dei musei diocesani al complessivo patrimonio museale del Paese, con l’obiettivo di fornire ai viaggiatori un panorama efficiente, pienamente fruibile e complessivo dei 4.588 musei italiani, che fanno del nostro Paese un vero “museo diffuso”. Un panorama unico al mondo, con un’area espositiva ogni 13 mila abitanti, 1,5 musei ogni 100 chilometri quadrati. Fra questi le istituzioni a carattere religioso sono circa il 20%, con 218 musei diocesani, 296 musei parrocchiali, 148 musei di ordini religiosi, 45 tesori della cattedrale e via dicendo.
Molti musei ecclesiastici, oltre a essere inseriti in palazzi e strutture di alto pregio architettonico, contengono opere di valore inestimabile. Tutti sono radicati sul territorio del quale, spesso, costituiscono un simbolo culturale e sociale. La loro promozione e salvaguardia, ha ricordato don Valerio Pennasso, direttore dell’Ufficio della Cei per i beni culturali e l’edilizia di culto, «è anche un servizio alle comunità locali delle quali raccontano la storia, ne tratteggiano il volto offrendo a tutti un’occasione di comprensione e dialogo».
Le sfide del futuro
Un’importanza culturale che tante volte viene sottovalutata. Non a caso, l’obiettivo dell’Amei è ancora, dopo vent’anni, quello di superare questo diffuso pregiudizio, quando invece, ha concluso Primerano, si tratta di «una parte essenziale dell’immenso patrimonio culturale italiano che può davvero contribuire a costruire un futuro per i nostri giovani. Anzi, citando Paolo VI, a consentire loro di tornare a sognare il futuro».