sabato 12 luglio 2014
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Sorpresa: al museo la crisi non c’è. Non per quanto riguarda i visitatori, almeno. Gli investimenti latitano e finanziamenti arrancano, d’accordo, ma dal 1998 a oggi in Italia non si è persa l’abitudine a visitare mostre e collezioni permanenti. Una buona notizia? «Un dato su cui riflettere, se non altro », risponde Maria Antonietta Trasforini, docente di Sociologia dei processi culturali all’Università di Ferrara. Autrice di numerose pubblicazioni sulle tendenze dell’arte contemporanea, fa parte dell’équipe di studiosi che ha realizzato per l’Istituto Cattaneo la ricerca confluita nel volume La cultura che conta (a cura di Marco Santoro, il Mulino, pagine 364, euro 28). Il suo contributo, in particolare, descrive attraverso cifre e tabelle l’attuale condizione delle arti visive nel nostro Paese. «Non è un censimento sul patrimonio – puntualizza –, l’obiettivo era semmai quello di individuare alcuni indicatori significativi, specie in rapporto con la contemporaneità». I visitatori, dicevamo. «I dati Istat sono abbastanza chiari: la crisi economica non ha frenato l’accesso a musei ed esposizioni. La fruizione dell’arte, anzi, è in costante aumento. Anche nelle fasce anagrafiche che, con la regolamentazione introdotta di recente dal ministro Franceschini, sono incluse oppure escluse dalla gratuità». I più giovani e i più anziani. «Esattamente. Se ragioniamo in percentuale, la quota che colpisce maggiormente è quella dei visitatori con più di 65 anni o, meglio, di età compresa tra i 65 e i 74 anni. Rappresentavano l’11% del totale nel 1998, sono balzati al 21,9% nel 2011. E la proporzione è confermata, sia pure a partire da basi più modeste, per quanti hanno più di 75 anni: qui, nello stesso arco di tempo, si è passati dal 4,5% al 7,8%. Meno incoraggiante il caso dei giovani. Abbiamo assistito a un discreto incremento dei diciottenni (dal 38% del 1998 al 46% del 2011), mentre i venticinquenni si sono spostati dal 34,2% al 34,6%. Non è detto, comunque, che l’intero quadro sia riconducibile ai meccanismi di gratuità». E in termini assoluti? «I visitatori crescono, lo confermo. Per essere più precisi, lo confermano i dati forniti dallo stesso ministero dei Beni e delle attività culturali. Basti dire che nel 2009 la cifra complessiva di quanti frequentavano i musei, i monumenti e i siti archeologici gestiti dallo Stato si attestava attorno ai 32 milioni di persone e che invece nel 2011, in piena crisi, si toccava il picco degli oltre 41 milioni di visitatori. In seguito si è avuto un riassestamento, ma ancora di recente abbiamo potuto registrare risultati tutt’altro che disprezzabili: le presenze sono state poco più di 37 milioni nel 2012 e poco più di 38 milioni nel 2013. In percentuale corrisponde a un +2%». E questo che cosa significa? «Che la crisi si è sentita e si continua a sentire, ma con effetti meno devastanti di quanto si potesse immaginare. Certo, si può ipotizzare che la diminuita disponibilità economica induca a prediligere le strutture più vicine e che fino a ieri erano, per alcune categorie, completamente gratuite. Ma un fenomeno analogo a quello italiano si sta verificando, per esempio, in Grecia. L’impressione è che le pratiche culturali non seguano mai percorsi scontati. Non ci sono automatismi su cui fare affidamento». I dati che lei ha raccolto descrivono anche la crescita degli studenti d’arte. Possono nascere nuove figure di mediazione? «Negli ultimi anni gli italiani hanno mostrato una grande passione per l’arte contemporanea. Questo è un elemento in buona parte inedito e ancora tutto da interpretare. Si segnala, fin d’ora, uno squilibrio tra l’abbondanza quantitativa delle manifestazioni e lo scarso livello qualitativo di alcune proposte. Ed è proprio questo contrasto a richiedere l’apporto di mediatori capaci di svolgere un’intelligente attività di alfabetizzazione sul contemporaneo. È un’occasione, tra l’altro, per inserire a pieno titolo l’Italia in un sistema sempre più internazionale e globale. Senza per questo rinunciare alle nostre caratteristiche». A che cosa si riferisce? «Ho presente la ricerca condotta un paio d’anni dall’economista Guido Guerzoni, dalla quale risultava non solo che le mostre di arte contemporanea hanno raddoppiato il loro peso rispetto al passato (rappresentavano il 33% dell’offerta complessiva nel 1994, sono pari al 66% nel 2011), ma anche che la loro distribuzione sul territorio è sostanzialmente omogenea tra Nord e Sud del Paese, tra grandi città e piccoli centri. L’Italia si conferma una realtà policentrica, un aspetto sui occorrerebbe insistere per un’autentica valorizzazione del nostro rapporto con l’arte».
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