Detto ciò, il convegno di ieri ha portato pure una notizia
concreta: le due chiuse del Naviglio Martesana, quella “di San Marco” e della
“Cassina di Pomm”, saranno restaurate e musealizzate. Da cinquant’anni
giacevano nei magazzini del Museo, ma nei mesi scorsi sono state studiate da
una task force comprendente anche università Statale, Politecnico e Bicocca.
Il foglio 656a recto del Codice Atlantico di Leonardo, con la rappresentazione e la descrizione tecnica della chiusa di San Marco a Milano (Copyright Veneranda Biblioteca Ambrosiana/Picture Library De Agostini - cortesia VBA)
Con un sogno nel cassetto: trovare i fondi per restaurarle ed esporle entro il
2019, quinto centenario dalla morte di Leonardo. Ma cosa c’entrano questi
manufatti con il poliedrico toscano? Semplice: il genio di Vinci osservò con
attenzione la scienza idraulica lombarda. E attorno al 1490, durante la prima
permanenza milanese, fissò nel suo “Codice atlantico” la chiusa di San Marco.
Allora il Naviglio Martesana confluiva nel Seveso. Ma, proprio in quegli anni,
Ludovico il Moro aveva decretato che quel corso venisse collegato alla Cerchia interna.
q-Q7IDy66Vo;430;242
Problema: i livelli dei due corsi erano diversi, e
serviva un sistema di chiuse che li uniformasse a ogni passaggio di chiatta. Il
ruolo di Leonardo da Vinci in questi studi – finalizzati a collegare Milano con il Lago
Maggiore, in vista di un più efficiente trasporto merci - non è ancora del
tutto chiaro. Solo una certezza: della “conca di San Marco”, il poliedrico
toscano realizza non un piccolo schizzo, ma una rappresentazione appunto
“chiarissima e dettagliatissima”. Tra i tanti motivi d’interesse, spicca la
documentazione di un artificio tecnico mai visto prima di quel momento: la
presenza di una piccola coppia di portellini che, agevolmente aperti a ogni
passaggio, pareggiassero il livello del corso prima e dopo lo sbarramento,
rimandando l’apertura delle grandi “ante” del manufatto solo a bilanciamento
idrico raggiunto.2mhKGD-UdcY;430;242
Un sistema ingegnoso, che semplificava alquanto le
operazioni di transito. Quanto custodito oggi dal Museo di via San Vittore,
spiega Giorgione, “risulta composto da un corpo principale in faggio e assiti
in abete rosso”, e “risale al 1700, con l’unica eccezione di un portellino che
l’esame al carbonio data al XVI secolo”. Naturale, per lo studioso: “Fino
all’avvento del treno – ricorda -, quelle vie d’acqua assicuravano gran parte
del trasporto merci necessario per la città”. Insomma: era un continuo “apri e
chiudi”. Dunque – con tutta probabilità - anche un frequente “aggiusta e
sostituisci”. Chiuse (GabrieleGuidi - Politecnico di Milano)